Torna indietro: marzo, dall’undici al venti.
21 marzo
1849: battaglia della Sforzesca, fatto d’armi avvenuto nei pressi dell’omonima villa con parco in periferia di Vigevano. Il reggimento Piemonte Reale Cavalleria, comandato dal colonnello Rodolfo Gabrielli di Montevecchio (poi eroicamente deceduto in Crimea nel 1855), affronta e sconfigge superiori forze austriache, mandando in fuga fanti e ussari.
Il Piemonte Reale Cavalleria era l’unico reggimento pesante, con uomini alti e forti su grossi cavalli, dell’Esercito Sardo. Il fatto d’armi, seppure di scarso rilievo e di nessun particolare effetto sullo scenario bellico, permise al reggimento di distinguersi per eroismo e di ottenere per il proprio Stendardo la medaglia d’argento al valore.
La festa del reggimento cade ancora oggi in questo giorno.
22 marzo
1796: prende servizio a soli 17 anni come boia pontificio Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, “er boja de Roma”. Nella sua carriera dichiarò di aver ucciso 516 condannati, ma in realtà furono solo 514: uno venne impiccato e poi squartato dal suo assistente, l’altro venne fucilato.
Quando non uccideva gente in giro per tutto lo Stato Pontificio, come ancora oggi fanno i decapitatori in Arabia Saudita spostandosi in base alla chiamata, aveva un’attività di venditore di ombrelli a Roma. Pio IX, proclamato beato nel 2000 e famoso per l’efferatezza delle violenze che fece commettere sulla popolazione inerme di Perugia nel 1859, mandò in pensione Mastro Titta nel 1864… per sostituirlo con un altro boia.
Le esecuzioni capitali erano pubbliche e, talvolta, avevano lo scopo di ammonire ed educare la popolazione. Per esempio nel caso di una impiccagione con conseguente squartamento tramite cavalli, al posto di una semplice decapitazione. Non volendo sporcare con l’omicidio il lato buono di Roma, quello “papalino”, di solito venivano eseguite sull’altra sponda del Tevere a Piazza del Popolo o a Campo de’ Fiori.
Charles Dickens, di passaggio a Roma, assistette nel marzo del 1845 a una decapitazione pubblica di cui poi parlò nelle sue Pictures from Italy, definendola “Uno spettacolo brutto, sudicio, trascurato, disgustoso; che altro non significava se non un macello, all’infuori del momentaneo interesse per l’unico disgraziato attore”. A colpirlo, in particolare, la totale indifferenza del pubblico alla morte di un altro uomo, accolta come si accoglierebbe quella di un pollo, senza nemmeno l’entusiasmo per l’orrore di certi inglesi.
La pena di morte venne completamente rimossa dal Vaticano solo nel 2001, anche se in teoria era stata abrogata per tutti i reati a partire dal 1969.
23 marzo
1801: lo zar Paolo I viene trafitto con una spada, strangolato e infine calpestato a morte. Morì nella sua stanza da letto. Aveva rifiutato di firmare l’abdicazione, richiesta da un gruppo di ufficiali capitanato da due generali. Appena morto Paolo I, uno dei generali andò dal figlio maggiore del defunto, Alessandro I, a comunicargli che era divenuto il nuovo zar. E aggiunse all’annuncio “Tempo di crescere! Va e regna!”.
Paolo I era stato ucciso a causa dei molti problemi che stava causando alla nobiltà russa. Il suo fu un regno bizzarro. Aveva concesso garanzie sempre maggiori al popolo e ai servi della gleba. Aveva diverse eccentricità vere e presunte, alcune a danno del suo esercito: per esempio aveva cacciato in pochi anni 7 feldmarescialli e 333 generali perché non erano ligi alla sua visione medievaleggiante del codice cavalleresco. Si era perfino riavvicinato a Napoleone e stava progettando un’invasione cosacca dell’India britannica, a supporto dei francesi.
La decisione più grave, ancora più del voler appoggiare Napoleone, fu di voler imporre una serie di regole comportamentali ai nobili, secondo lui inaffidabili e sleali (aveva già scoperto corruzione e macchinazioni nella propria Tesoreria), per tramutarli in una sorta di ordine cavalleresco. Un po’ alla volta tutti i suoi alleati, esasperati, gli voltarono le spalle.
I nobili dopo 5 anni di rottura di coglioni avevano deciso di liberarsene.
E già, chi avrebbe mai detto che erano sleali, eh?
24 marzo
1882: il biologo tedesco Robert Koch annuncia la scoperta del batterio responsabile della tubercolosi. Citando Jabba the Hutt “Peecha chakka no wookie boonowa tweepi solo?” e non credo ci sia altro da dire sulla questione.
25 marzo
1807: lo Slave Trade Act abolisce la tratta degli schiavi nell’Impero Britannico e incoraggia a fare pressioni sulle altre nazioni europee in modo che facciano lo stesso nei propri territori. Un grande successo per William Wilberforce, leader del movimento abolizionista britannico.
Non viene comunque abolita la schiavitù già esistente, che rimarrà nelle colonie britanniche fino allo Slavery Abolition Act del 1833.
26 marzo
1913: termina l’assedio di Adrianopoli con la cattura della città ottomana da parte delle truppe bulgare e serbe. Fu una vittoria ancora più importante, dopo cinque mesi di assedio, perché le difese erano modernissime, realizzate da esperti in assedio tedeschi, e la città era quindi ritenuta impossibile da conquistare. L’assedio ispirò l’opera “Zang Tumb Tumb” del futurista Filippo Tommaso Marinetti.
27 marzo
1881: a Basingstoke, Inghilterra, scoppia una sommossa in protesta contro la continua, fastidiosa, campagna contro il consumo di alcolici condotta dall’Esercito della Salvezza. Avevano proprio rotto le palle, eh? Nell’immagine un esempio della loro raffinata propaganda.
28 marzo
1910: Henri Fabre è il primo uomo a pilotare un idrovolante, il Fabre Hydravion.
29 marzo
1911: l’esercito degli USA adotta la Colt M1911, con il nuovo calibro .45 ACP, come pistola d’ordinanza. Il bisogno di una nuova pistola era legato all’occupazione statunitense delle Filippine, dal 1900.
Contro i guerriglieri locali capitavano spesso scontri corpo a corpo e una pistola, per quanto potente, più che tanto non poteva fare. Gli inglesi per esempio, con il loro .455, avevano un grosso calibro lento e pesante, ma neppure quello garantiva di abbattere un guerriero sudanese o un afgano ululante.
Nelle Filippine c’era perfino di peggio: guerriglieri armati di machete, o altre armi da taglio, che all’improvviso erano colti da furia omicida (Amok) e si lanciavano in corpo a corpo senza temere le ferite e capaci di incassare colpi come se fossero imbottiti di droghe.
In quei casi si può solo sparare in faccia e sperare che o salti il cervello o il trauma (anche psicologico) del proiettile in faccia basti a mandare a terra l’aggressore. Come si fa con i terroristi (con un buon motivo extra: se non sono ritardati hanno i giubbotti antiproiettile, come ricordava Andy McNab in “Azione Immediata”).
Gli americani finirono per riversare tutte le colpe sui loro revolver calibro .38, che sparavano un proiettile perfettamente idoneo a uccidere un uomo se ben piazzato: veloce come un 9 Corto moderno, in grado di attraversare fino in fondo un corpo umano per colpire eventualmente l’aorta.
Loro, abituati per anni a calibri davvero potenti come il .45 Long Colt dei loro revolveroni del 1873, diedero la colpa al calibro minore. Certo, quel .38 è leggermente meno anti-uomo di un bel .45, ma non in modo significativo. E i casi di furia Amok impossibile da fermare vennero esagerati apposta perché si voleva cambiare pistola e serviva una scusa per sbloccare i soldi.
Il colonnello LaGarde descrive nel 1905 il caso di un prigioniero, tale Antonio Caspi, che venne colpito con quattro proiettili del revolver Colt .38 senza crollare:
un proiettile lo passò da parte a parte sul capezzolo destro, perforando il polmone e uscendo dal bordo della scapola; un altro proiettile passò sul capezzolo sinistro, perforò il polmone, rimbalzò dentro il corpo scavando ancora di più e si adagiò rimanendo dentro; un altro colpì poco sotto la spalla, ma pure lui discese perforando il polmone e si fermò nella schiena; l’ultimo proiettile perforò il palmo della mano sinistra e scavò fino a finire nell’avambraccio e uscire da lì.
Tre colpi dentro ai polmoni e uno nell’avambraccio… e dovettero comunque, per renderlo innocuo, colpirlo con il calcio di un fucile usato come clava. Caspi venne ricoverato, curato e riconsegnato alle autorità.
Il piazzamento di un proiettile è determinante, è l’elemento più importante per la sua efficacia antiuomo. Un proiettile un po’ più grande, anche se aiuta a tagliare più carne e aprire di più i vasi sanguigni, non assicura certezze: non è avere 11,5 mm invece di 9 mm a cambiare la vita.
Il solido Webley britannico .455, revolver antiuomo ottocentesco per eccellenza (valido su carne nuda quando il .45 ACP), fu protagonista di diversi famosi episodi in cui scaricando in pieno torso anche tutti i proiettili contro qualcuno che non era certo preda dell’Amok, come per esempio un rapinatore in fuga, il poliziotto dovette alla fine colpire il cranio del tizio con il calcio dell’arma per averne ragione!
30 marzo
1885: incidente di Panjdeh, la crisi afgana porta l’Impero Britannico e l’Impero Russo a un passo dalla guerra. Truppe russe avevano catturato un’oasi a sud del fiume Oxus, nel territorio dell’Emirato Afgano (attuale Turkmenistan, sul confine con il moderno Afghanistan).
Il generale russo Komarov ordinò ai soldati afgani di ritirarsi dall’area. Dopo il loro rifiuto, i russi lanciarono l’attacco alle tre di notte, spazzando via gli afgani dalla trincee: 600 morti con appena 40 perdite russe. L’incidente irritò molto i britannici, che non volevano che la Russia, dopo le vittorie di Geok Tepe (1881) e Merv (1884) si espandesse ulteriormente verso sud. Panjdeh, inoltre, era sulla strada diretta a Herat, e da lì più comodamente si può puntare all’Iran.
La situazione venne risolta per via diplomatica, ma questa volta il Grande Gioco tra Russia e Regno Unito aveva quasi portato a un conflitto aperto, con conseguente avvio della rete di alleanze segrete e forse lo scoppio di una guerra mondiale con 29 anni di anticipo. Nessuna delle due potenze voleva davvero un conflitto aperto.
I britannici decisero di stabilire confini settentrionali certi per l’Emirato Afgano, tramutandolo in un vero e proprio stato cuscinetto invece di qualcosa di fluido da mangiare un pezzo per volta, col rischio che i russi se ne prendessero un boccone. I russi fondarono sul luogo dello scontro la città di Kushka, che rimase da lì e fino al tempo dell’Unione Sovietica il più meridionale avamposto russo.
31 marzo
1854: il commodoro Perry e lo shogun del Giappone siglano la Convenzione di Kanagawa. Ora la marina USA poteva accedere ai porti di Shimoda e Hakodate, e i naufraghi statunitensi avevano più garanzie. Il commodoro Perry riuscì a ottenere questo trattato ineguale, tutto a vantaggio degli USA, semplicemente con l’applicazione di quella gentile fermezza necessaria quando si tratta con nazioni arretrate: minacciò di bombardare Edo (attuale Tokyo) con la propria squadra navale. Si tratta solo di capire quale linguaggio capisce una popolazione diversa, e parlare quello.
Visto che la firma dello shogun non gli bastava, Perry pretese la firma dell’imperatore Komei stesso e la ottenne l’anno successivo. Il trattato permetteva alle navi di rifornirsi, ma non parlava di accordi commerciali o di extraterritorialità: il commodoro Perry preferì lasciare il tutto ad Harris che nel 1858 ottenne un trattato che permetteva ai cittadini statunitensi di vivere e commerciare presso alcuni altri porti giapponesi e di essere giudicati con le leggi degli USA nei propri consolati, non con quelle giapponesi. Un altro trattato non proprio alla pari.
Oltre due secoli di isolazionismo giapponese si erano conclusi.
Per chi è interessato, qui è disponibile il primo volume delle memorie di Perry relative alle sue esperienze in mare tra Cina e Giappone negli anni 1852-1854: https://archive.org/stream/narrativeofexpe01perr#page/n5/mode/2up
Prosegui con: aprile, dal primo al dieci del mese.
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