La parola agli autori: Giuseppe Menconi e l’immedesimazione

Con questo primo articolo parte la nuova sezione La parola agli autori: gli autori di Vaporteppa racconteranno in brevi articoli ciò che pensano riguardo a un certo aspetto della scrittura o del fantastico. Come ci si organizza per scrivere? Come si trovano le idee? E altre in futuro.

Si comincia con Giuseppe Menconi, autore di Abaddon, romanzo di fantascienza militare.


Giuseppe, cosa fai quando vuoi scrivere? Di cosa hai bisogno?

Giuseppe Menconi

Giuseppe Menconi

Mi serve un certo lasso di tempo per mettermi a scrivere. Se so di non averlo, rinuncio e rimando. Diciamo almeno due ore piene.

Una delle cose più difficili da fare per scrivere bene, almeno per quanto mi riguarda, è entrare dentro al personaggio, e per far questo ho bisogno di assoluto silenzio, di essere isolato e ci vuole tempo. Se ho meno di due ore, non ne vale la pena, e poi, solitamente, non riparto dal punto in cui ero arrivato, ma inizio rileggendomi una pagina indietro, due se necessario. Mi aiuta a tornare con la mente a dov’ero arrivato, alla situazione emotiva, più che altro.

Per portare un esempio, capita, quando rileggo il romanzo per la prima volta dopo la prima stesura, che in alcuni punti il personaggio principale sembri avere sbalzi di umore improvvisi. All’inizio non riuscivo a capire come avessi potuto non accorgermene durante la scrittura, e il motivo era che solitamente in quei punti avevo smesso di scrivere e ripreso il giorno dopo; ecco la necessità di ricominciare a leggere qualche pagina prima.

Il silenzio è obbligatorio, perché è neutro. Diciamo che sentire il tuo vicino che passa la motozappa non è il meglio se stai cercando di immaginarti cosa ci potrebbe essere dietro l’angolo di un corridoio dentro una nave aliena. Scrivere è un po’ come recitare. Per muovere bene i fili del personaggio, lo scrittore deve recitarne la parte, con tutte le conseguenze emotive del caso.

Ricordo un episodio divertente di Abaddon. William è un gran bel codardo, e aggirarsi nei corridoi bui e silenziosi di una nave aliena doveva essere molto spaventoso per lui. Io, invece, me ne stavo seduto davanti al computer con la luce del giorno che filtrava dalla finestra, il vicino che parlottava in giardino e i bambini sul divano che guardavano i cartoni animati. C’era troppo distacco tra me e William.

Ho rimandato la stesura di alcuni pezzi a notte fonda, a luci spente, nel silenzio assoluto, lasciando aperta la porta dello studio che dà sull’entrata della casa, un lungo corridoio buio. Ho capito che la scena stava venendo bene quando ho iniziato a guardarmi attorno e ho sentito il bisogno di chiudere la porta. Immedesimazione totale, tutto qui.

Illustrazione di Manuel Preitano

Illustrazione di Manuel Preitano

Scrivo molto più facilmente, e ho molta più voglia di scrivere, la notte, dalle 22:00 in poi. Durante il giorno devo un po’ forzarmi; immagino sia una cosa personale, comunque, ma questo evidenzia il fatto che l’ambiente circostante sia molto importante per l’ispirazione. Ognuno deve cercare il posto e il momento migliore che lo stimoli a scrivere.

Un cosa che ho notato è che scrivere fa venir voglia di scrivere. Ho un lavoro a tempo pieno abbastanza stressante, e spesso arrivo a casa mentalmente stanco e ho bisogno di rilassarmi. Tuttavia, se mi sforzo di scrivere, dopo la prima mezzora la voglia viene; magari non faccio interi capitoli, ma metto su un altro mattoncino.

Non mi do un numero di parole obbligato al giorno. Scrivo il più possibile, e una cosa importantissima per scrivere veloci è dare ritmo alla storia.
Diciamo che lo scrittore è il primo lettore del suo romanzo. Scrivo rapidamente quando butto giù scene interessanti, cioè ricche di contenuti per la storia e per l’evoluzione del personaggio – i punti di svolta, in pratica; meno è interessante la scena, più lentamente la scriverò. L’esigenza di scrivere solo scene interessanti è duplice, quindi: è più bello farlo e sarà più piacevole per il lettore leggerle.

Non dico sia facile, ma anche qui si tratta di pianificazione. Un metodo che ho trovato e che mi ha aiutato molto è stato studiare l’arco di trasformazione nel modo in cui viene spiegato da Dara Marks, dove la storia, in breve, è divisa in momenti che hanno tutti un particolare impatto emotivo. Se ho già un riassunto di ogni scena per ogni singolo momento emozionale (il personaggio perde un figlio; il personaggio scopre che la moglie lo tradisce; il personaggio si rende conto che è in trappola e la polizia lo arresterà; il personaggio scopre di essere omosessuale), scrivo molto più rapidamente.

Riassumendo, se fatico troppo a scrivere, significa che c’è qualche errore grave nella struttura della storia; significa che gli eventi non mi stanno prendendo emotivamente; significa che sto rimanendo indifferente a ciò che accade al personaggio principale, altrimenti non vedrei l’ora di fargli vivere ciò che deve vivere.

E se una storia non prende emotivamente il proprio scrittore, figuriamoci cosa accadrà con i lettori…


Grazie a Giuseppe!

Il manuale di Dara Marks citato da Giuseppe è L’arco di trasformazione del personaggio, edito da Dino Audino Editore, ed è un ottimo punto di partenza per iniziare a riflettere sulla struttura delle storie. Ci sono tanti altri manuali scritti da esperti di storie da leggere per approfondire ed espandere le possibilità e raffinare i ragionamenti, ma secondo me quello è il migliore per iniziare con qualcosa di subito spendibile.

Avete domande da proporre ai nostri autori? Scriveteci!

 

13 comments

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    • Emue on 20/05/2015 at 22:34
    • Reply

    Dato che la frase finale esorta a fare domande colgo l’occasione.

    -Ti è mai capitato che qualcosa scritto qualche giorno prima (anche durante un unica seduta) ti faccia completamente schifo, ma senza capire il perché?
    Oppure un perché lo trovi, ma non riesci a capire cosa sia andato storto esattamente. La sensazione è comunque vaga. Ad esempio a me capita che le idee o i personaggi mi sembrino improvvisamente infantili. Però non sono mai sicuro, anche perché durante il processo di scrittura mi sembra sembra sempre tutto ok. Anzi, mi sembra tutto ok anche per giorni, ma a un certo punto quello che ho scritto non mi piace più.
    Mi sono messo a battere tasti sulla tastiera (e a leggere i manuali consigliati dal Duca) da un mese e mezzo circa. Questa cosa mi capita sempre. Può darsi che semplicemente debba leggere di più sulla scrittura, ma intanto chiedo. Per ora non faccio leggere a nessuno quello che ho scritto; si tratta di prudenza… non voglio mica perdere gli amici (o che i miei genitori mi disconoscano).

    -Quando faccio la lista delle scene finisco per non seguirla, perché mi accorgo che qualcosa non funziona in quello che avevo pianificato. Quindi ho provato a scrivere qualcosa senza pianificare e per ora procede senza intoppi. Tu riesci a rispettare la pianificazione? Il solo fatto di pianificare lo trovo stressante, anche perché non riesco a decidere in fretta una sinossi o una lista delle scene fissa. Invece di darmi sicurezza mi stressa. Tu dopo quanto riesci a trovare una lista delle scene che rimanga fissa?

    -Quanto ci hai messo a iniziare a scrivere bene, o almeno cose che ti piacessero?

    -Fino a che ora riesci a scrivere la notte? Io verso le 22.30 crollo…

    Le domande tecniche me le tengo da fare al Duca.
    Immagino che “Avete domande da proporre ai nostri autori? Scriveteci!” non significasse “stalkerateci” xD

    P.s (magari è utile): Per eliminare i fastidi esterni e trovare l’atmosfera giusta mi metto in cuffiette (in-ear isolanti, tipo con eartips Comply o Etymotic) e ascolto rumori ambientali o rumori bianchi appropriati. Es: https://www.youtube.com/watch?v=A75PQLV-Nck
    oppure https://www.youtube.com/watch?v=lasWefVUCsI
    Su Amazon americano ci sono anche un sacco di buoni tappi (I migliori sono con NRR 33). Sono una svolta secondo me, anche se dopo la scoperta della “pioggia” su youtube non mi servono più.
    Ho anche provato ad ascoltare la musica, ma penso che non lo farò più (o di meno) perché potrebbe essere una causa della cosa che ho descritto nella prima domanda.

    • Beppe on 21/05/2015 at 13:15
    • Reply

    Ciao Giuseppe, complimenti per il romanzo. Una lettura davvero piacevole.
    Ho due domande per te.

    – Come hai trovato l’idea per scrivere Abaddon?

    – Hai uno schema particolare per sviluppare le tue idee?

    Grazie in anticipo per le risposte e ancora complimenti.

    Poi tre domande anche per il Duca.

    – Si può imparare a creare storie studiando manuali, oppure è una dote innata è non c’è niente da fare?

    – Oltre al manuale della Marks puoi consigliarmi altri che trattano lo stesso argomento?

    – Ci saranno articoli di scrittura creativa che trattano di gestione del punto di vista e sviluppo delle storie. Visto che la straordinaria Gamberetta (che dio l’abbia in gloria) non ne ha più parlato?

    Grazie e auguri per il tuo lavoro con Vaporteppa spero che diate una scossa all’editoria italiana così deficitaria in qualità.

  1. Ciao Beppe.

    – Si può imparare a creare storie studiando manuali, oppure è una dote innata è non c’è niente da fare?

    Insegnare a creare storie è alle basi dello studio drammaturgico: come tramutare le proprie idee in qualcosa di coerente e capace di veicolarle al pubblico. D’altronde, per definizione, ciò che non è frutto della genetica è acquisito per apprendimento successivo. Quindi si può studiare e imparare. 🙂

    Imparare la teoria dietro le storie è la parte più facile. Come è facile anche imparare a scrivere in modo immersivo. Si tratta di credere che la teoria sia “vera” e applicarla. Sembra scontato, ma mentre nelle materie scientifiche è banale ritenere che la teoria sia forma condensata e generale della pratica stessa (quindi usi la teoria per renderla pratica), tra chi si occupa di materie umanistiche sembra che teoria e pratica siano cose diverse o addirittura inconciliabili.

    Quante volte capita di dire “In teoria è una cosa, ma in pratica…” che è una bestemmia? La teoria è la pratica riportata come informazione scritta o orale. Se la teoria non è ciò che poi applicato sarà pratica, NON è la teoria di quella pratica. Eppure ci viene fatto fin da piccoli il lavaggio del cervello sul pensare che teoria e pratica siano differenti sempre.

    Se si supera lo scoglio e si comincia a pensare che la teoria narrativa non sia immondizia senza senso, ma sia la condensazione e generalizzazione del sapere pratico (che appunto generalizzandosi e condensandosi diventa teorico), si potranno progettare storie più facilmente e scriverle in modo meno legnoso.

    PROBLEMA.
    Ci stiamo dimenticando la cosa più importante: la teoria insegna il “come”, non il “cosa”. E il “cosa” sono gli esatti, precisi, vividi dettagli concreti che rendono i personaggi umani e le vicende vere. E questi non è così facile studiarli. Qualcosina coi manuali, va bene, in fondo ci sono tanti testi adatti a capire (a fine narrativo) la psicologia umana… ma non basta.

    Quel che conta di più, e sarà fondamentale per tutto il resto, sono gli altri dettagli. I piccoli dettagli concreti, presenti sempre nella storia per renderla vivida e sensoriale. E quelli o uno ne ha letto su ottimi libri o li ha vissuti o insomma in qualche modo deve averli raccolti da solo. La differenza tra una grande scena in un impianto di potenza può farla la differenza tra un autore a cui un amico operaio ha raccontato la manutenzione della caldaia… e aver vissuto l’inferno di esaminare e operare in un caldaia guasta, spenta, con pareti “fredde” a 90+ gradi, ceneri bollenti e l’aria a 50+ gradi, in un ambiente angusto, al buio, con le tute anticontaminazione.

    Quell’esperienza può divenire in narrativa un caldaia ispezionata da un operaio (la realtà riproposta)… o l’interno di un drago da combattimento in cui il pilota entra per una riparazione di emergenza dietro le linee nemiche (la realtà ricreata e superata).
    Nessun manuale che conosco contiene la vita stessa, a cui l’autore deve attingere per costruire una finzione credibile. Consiglio valido, l’equivalente dei manuali? Cercare di “vivere” qualcosa di simile alle vicende o agli ambienti di cui si parlerà oppure leggere moltissimi romanzi, leggere moltissimi saggi, guardare film fatti bene (non stronzatone di sola azione, film con ambientazioni e situazioni ricostruite in modo serio) ecc.
    Più esperienze ha un autore, più dettagli avrà da scrivere. Se sa osservare. Anche saper osservare si insegna, lo imparano i militari e lo impara il piccolo Kim di Kipling. Come si impara? Non ne ho idea, ma vorrei saperlo! XD

    Oltre al manuale della Marks puoi consigliarmi altri che trattano lo stesso argomento?

    Ne presenterò un po’ nei prossimi articoli. Cerca i manuali Audino Editore di: Lajos Egri, John Truby, Linda Seger. C’è molto altro, ma lo vedremo un po’ alla volta. Ognuno rappresenta una visione parziale, incompleta, che cerca di ottimizzare la realizzazione di storie secondo la visione dell’autore… ma più di queste approssimazioni si conoscono e più strumenti si hanno anche per vedere i principi fondamentali che le generano, e poter attingere così alla conoscenza non più offuscata dalla visione personale dell’autore.

    Ci saranno articoli di scrittura creativa che trattano di gestione del punto di vista e sviluppo delle storie. Visto che la straordinaria Gamberetta (che dio l’abbia in gloria) non ne ha più parlato?

    Sullo sviluppo delle storie sì. Forse qualcosa sul punto di vista, se capiterà l’occasione di dedicargli delle riflessioni. Cose più terra-terra di line editing penso però di no: sono più noiosi da spiegare e inutili per chi vuole solo capire come si creano storie in generale (per una sceneggiatura, un fumetto, costruire le basi per impostare la campagna in un GdR “classico” ecc.)

  2. Avrei delle domande, che potrebbero valere per tutti gli autori di Vaporteppa:
    – Hai un autore a cui ti senti simile nello stile? I suoi romanzi ti hanno aiutato?
    – Da dove prendi l’idea principale della storia? La sogni, la leggi, la vedi tra le righe di un saggio…?

    Grazie per la risposta se mai ci sarà 🙂

    • Giuseppe Menconi on 21/05/2015 at 18:11
    • Reply

    Ciao Emue.

    In risposta alle tue domande, sperando di poterti essere d’aiuto:

    Ti è mai capitato che qualcosa scritto qualche giorno prima (anche durante un unica seduta) ti faccia completamente schifo, ma senza capire il perché?

    Sì, mi è capitato e mi capiterà ancora, ma non senza sapere il perché. Rileggendo il pezzo, il perché deve venire fuori se hai ben chiara nella testa quella che è la teoria della narrativa. Credo che la tua “confusione” sia una questione di esperienza. Hai detto che è circa un mese e mezzo che scrivi e studi; è poco tempo. Se mi mettessi a rileggere ora cose che ho scritto anni fa, e che anni fa credevo fossero scritte molto bene, non credo che ne rimarrei molto soddisfatto…

    Gli unici consigli che posso darti, per la mia personale esperienza – quindi non prenderli come oro colato – è di fare pratica per molto più tempo, studiare, e far leggere quello che scrivi a chi può darti un giudizio quanto più critico e crudele possibile, anche se so che può far male sentirsi dire che “non va bene” (io lo so, credimi per fede).

    Progetta un romanzo lungo, scrivilo e mano a mano che migliori, migliora anche il romanzo, riscrivendone pezzi, modificando quello che riterrai sbagliato quando avrai più esperienza; alla fine ti ritroverai in mano il romanzo originale e quello più aggiornato, e potrai vedere quanto sei migliorato, renderti conto della differenza e capire da solo quel “perché” che adesso ti confonde.

    Quanto ci hai messo a iniziare a scrivere bene, o almeno cose che ti piacessero.

    Questa è una bella domanda, e mi potrei dilungare davvero parecchio. Mi limito dicendoti – e magari la cosa ti rincuora – che sto lavorando su un romanzo e a “cose finite” mi sono reso conto di aver commesso errori davvero cretini, cose che a ripensarci viene davvero da chiedersi “come ho fatto a non vederli?”.

    Abaddon, prima di essere pubblicato, è passato sotto un lavoro di editing notevole, che mi ha portato a cambiarne anche interi pezzi.

    Quindi, cosa intendi per scrivere bene? Intendi arrivare a scrivere un libro così bene da non aver bisogno di un editor? Intendi fare tutto da solo?

    Se intendi questo, sono ancora molto lontano. La cosa positiva è che scrivere mi diverte. Ogni libro cerco di migliorarmi e ancora adesso, molto spesso, “sbuffo un po’” quando le cose non riescono subito. Vorrei potermi dedicare a tempo pieno alla scrittura, ma devo lavorare per almeno otto ore al giorno e un po’ della frustrazione del lavoro ci finisce, volente o nolente, sul romanzo.

    Se invece intendi, in modo più schietto, quanto ci ho messo ad arrivare a un livello accettabile per “poter lavorare sulla pubblicazione con il Duca”, è meglio se non ti rispondo per non scoraggiarti… ma se scrivere ti piace e lo fai con vera passione, saprai tenere duro.

    Fino a che ora riesci a scrivere la notte? Io verso le 22.30 crollo…

    Io dalle 22:30 in poi inizio a scrivere meglio e al lavoro finisco per essere un po’ “zombie”. Come ho scritto, è questione di trovare il momento e il posto giusto, e ognuno ha i propri. Se potessi dormire di giorno e scrivere di notte sarebbe tutto molto più bello…

    La cosa dei tappi mi sembra un po’ esagerata. Intendo dire: è vero che rumori “esterni alla storia” possono distrarre, ma se sei al punto che devi metterti i tappi, forse la storia stessa non ti sta prendendo molto e procedi arrancando anche per quello.

    Spero di esserti stato d’aiuto per quello che posso e ti ringrazio per le domande.

    Ciao Beppe.

    Innanzitutto grazie per i complimenti. Mi fa piacere che ti sia piaciuto.

    Riguardo alle tue domande, saranno ampiamente trattate nei prossimi articoli su Vaporteppa, devi solo pazientare un po’. Si tratta proprio delle domande specifiche che fanno parte del progetto “La Parola agli autori”.

    Ciao Lynn.

    Riguardo alle tue domande:

    Hai un autore a cui ti senti simile nello stile? I suoi romanzi ti hanno aiutato?

    Sì, ma non in merito a quello che ho pubblicato fin’ora. Mi piace tantissimo Martin e il Trono di Spade, ma i suoi romanzi “fantasy medievaleggianti” non mi hanno aiutato a scrivere Abaddon.

    Da dove prendi l’idea principale della storia? La sogni, la leggi, la vedi tra le righe di un saggio…?

    Anche questa domanda sarà trattata in modo esaustivo – spero – nei prossimi articoli.

    A presto.

    • Emue on 21/05/2015 at 21:43
    • Reply

    Grazie mille per aver risposto alle mie domande. Le risposte mi sono state utili. Confrontarsi con un autore con esperienza è utile. Non vedo l’ora che arrivino altri articoli come questo, sono molto curioso anche riguardo gli altri autori. In particolare spero che arrivi qualcosa di Alessandro Scalzo in questa sezione 🙂

    • Vakour on 24/05/2015 at 21:03
    • Reply

    Ciao, mi auguro che le mie domande possano non creare fastidio, ma da persona curiosa non riesco da esimermi da fare alcune domande. Comprendetemi se faccio questo tipo di domande, ma non capita spesso di vedere un autore (italiano) intervistato e la possibilità di fargli domande. ^__^

    1) Perché ti piace questo genere di narrativa e non altri generi?
    2) Perché hai proposto il tuo lavoro per Vaporteppa e per non altre case editrici, cioè cosa rappresenta per te Vaporteppa e perché pubblicare per Vaporteppa?
    3) Sei soddisfatto di Vaporteppa?

    Riassumendo, se fatico troppo a scrivere, significa che c’è qualche errore grave nella struttura della storia; significa che gli eventi non mi stanno prendendo emotivamente; significa che sto rimanendo indifferente a ciò che accade al personaggio principale, altrimenti non vedrei l’ora di fargli vivere ciò che deve vivere.
    E se una storia non prende emotivamente il proprio scrittore, figuriamoci cosa accadrà con i lettori….

    4) Ci sono scene (presenti nel libro) che non ti hanno preso emotivamente?
    5) Quali sono le libri, autori, fumetti, film, ecc. che ti hanno influenzato/influenzano?
    6) Sei soddisfatto del lavoro del tuo editor e qual è stato il lavoro svolto quindi dal tuo editor?
    7) Cosa diresti a chi alla fine trova giusto che non ci siano dei criteri oggettivi per dire se un’opera è buona, oppure no, esempio: scrivere tanti avverbi non è un “errore”; lo show don’tell si può anche qualche volta evitare, l’infodump qualche volta è giusto, ecc. e cosa quindi ti ha “convinto” del genere di narrativa del duca?

    Ti ringrazio.

    • Giuseppe Menconi on 26/05/2015 at 16:37
    • Reply

    Ciao Vakour.

    Innanzitutto ti ringrazio moltissimo per le domande. Fa piacere riceverne e mi piace rispondere, se posso. Scusami se non rispondo alle domande nell’ordine proposto, ma mi è tornato meglio così.

    1) Perché ti piace questo genere di narrativa e non altri generi?

    Mi piacciono le storie violente e gli antieroi. Mi piacciono le storie che finiscono male. Mi piace far soffrire i personaggi. Mi piace la fantascienza per ciò che mi permette di esplorare; il destino dell’uomo, dell’umanità, il futuro, le morali di fondo che mi permette di raccontare e l’ampiezza degli eventi (mondi, galassie, universi).

    4) Ci sono scene (presenti nel libro) che non ti hanno preso emotivamente?

    Che non mi hanno preso emotivamente al punto da “aver faticato troppo per scriverle” no, altrimenti le avrei cambiate completamente. Ci sono degli alti e bassi; i punti di svolta del personaggio, le sue prese di coscienza sono certamente quelle che mi sono piaciute di più. Ho tribolato un po’ nei combattimenti, soprattutto in quelli finali.

    5) Quali sono le libri, autori, fumetti, film, ecc. che ti hanno influenzato/influenzano?

    Questa domanda credo che verrà trattata in altri articoli, quindi aspettiamo.

    2) Perché hai proposto il tuo lavoro per Vaporteppa e per non altre case editrici, cioè cosa rappresenta per te Vaporteppa e perché pubblicare per Vaporteppa?

    Sostanzialmente vuoi sapere perché ritengo che Vaporteppa sia meglio delle altre case editrici, e per carità, questa che ho appena espresso è una mia opinione personale che ho maturato nel tempo. I motivi sono quasi tutti nella risposta alla settima domanda.

    3) Sei soddisfatto di Vaporteppa?

    6) Sei soddisfatto del lavoro del tuo editor e qual è stato il lavoro svolto quindi dal tuo editor?

    È un argomento un po’ troppo vasto per essere trattato in una risposta. Magari in futuro ci saranno degli articoli sul lavoro di editing e su cosa comporta. Considera che ho dovuto scrivere Abaddon due volte da zero (e per zero intendo dire foglio bianco), prima di sentirmi dire dal Duca: “Ok, ci si può lavorare sopra.” E dopo ci abbiamo lavorato sopra per un paio di mesi se ricordo bene, forse un po’ di meno, adesso non ricordo esattamente.

    Comunque sì, sono soddisfatto.

    7) Cosa diresti a chi alla fine trova giusto che non ci siano dei criteri oggettivi per dire se un’opera è buona, oppure no, esempio: scrivere tanti avverbi non è un “errore”; lo show don’tell si può anche qualche volta evitare, l’infodump qualche volta è giusto, ecc. e cosa quindi ti ha “convinto” del genere di narrativa del duca?

    Questa è una domanda caldissima – ero tentato di non rispondere. Ma l’hai fatta e quindi ti rispondo, benché debba essere un po’ schietto.

    Tu scrivi: “…narrativa del duca.” Sono certo che al Duca piacerebbe essere il padre creatore della narrativa moderna e immersiva almeno quanto a me piacerebbe essere Stephen King. Anche usare la parola che hai messo tra virgolette – “convinto” – è inappropriato.

    Non esiste nessuna narrativa del Duca e nessuno ha convinto nessuno, e non mi dilungherò in questa risposta a spiegare perché un libro scritto con determinati criteri sia migliore di uno scritto senza; per queste cose ti rimando ai tanti articoli del Duca e ai manuali che puoi trovare anche in italiano su Amazon.
    Qui qualche articolo di base di quelli apparsi su Vaporteppa: http://www.vaporteppa.it/approfondimenti/nascita-o-addestramento/ http://www.vaporteppa.it/approfondimenti/leggi-comprendi-ama-il-piacere-della-rilettura/ e http://www.vaporteppa.it/approfondimenti/il-problema-di-chiamarla-arte-e-basta/

    Ciò di cui mi preme parlare, invece, è un paradosso.

    Tu cosa diresti a chi trova giusto che non ci siano criteri oggettivi per stabilire se la casa dentro cui abiti è costruita bene oppure no? È davvero così difficile pensare alla narrativa di genere come a una scienza (nel senso di conoscenza studiabile e acquisibile, come l’Arte per i greci che è Tecnica acquisibile)? È davvero così difficile credere che per scrivere un buon libro si debba studiare esattamente e normalmente come si deve studiare per ottenere un buon risultato in qualunque altro ambito?

    Se dicessi a qualcuno di mettersi a suonare il pianoforte senza averlo mai toccato e senza aver mai studiato musica, mi riderebbe in faccia. Se gli dicessi di mettersi a scrivere un libro senza aver studiato, non troverebbe la cosa così ridicola o magari declinerebbe solo per questioni di tempo. Siamo tutti scrittori in fondo al cuore, ma non tutti siamo pianisti…

    Perché?

    Perché solo nella scrittura la gente pensa che basti mettersi lì e scrivere o che basti leggersi due manualetti scaricati da internet e poi si è subito pronti a sfornare capolavori?

    Il suono che esce dal pianoforte di Allevi è diverso da quello che usciva dal pianoforte di mio nonno – pace all’anima sua -, così come il testo di un autore che ha studiato è diverso da quello di uno che scrive a casaccio, non solo per regole e tecniche, ma per contenuti.

    Cosa direi a quelle persone?

    Siamo tutti in grado di capire e studiare la narrativa, e di conseguenza se lo facciamo con profitto siamo tutti in grado di capire da soli se ciò che abbiamo scritto fino ad adesso sono cose buone oppure no.

    Quando mi sono reso conto di non saper scrivere, e che tutto quello che avevo scritto e messo nel cassetto fino a quel momento era mera spazzatura, è stata una brutta sensazione – per non dire altro. A quel punto potevo fare due cose: convincermi che non esistessero quei “criteri oggettivi” o ricominciare dall’inizio.

    Direi a queste persone di rimettersi in discussione, che non c’è niente di male nel farlo (io personalmente l’ho fatto, è stato durissimo ma sono contento di averlo fatto), e che è un po’ da struzzi – scusate il termine ma è come mi sentivo io quando resistevo al cambiamento – perdurare a portare avanti certi argomenti.

    Io ho ancora tantissimo da imparare, come ho già scritto, ma se posso sperare di imparare è solo perché penso vi siano criteri oggettivi per farlo: se non c’è nulla di oggettivo, se non c’è una base comune a cui appoggiarsi, non è possibile per definizione né discutere né imparare.
    Sarebbe molto più facile fingere che non ci sia nulla da imparare, si vivrebbe più felici, senza preoccuparsi. Accettare di dover imparare significa accettare di criticarsi, di dubitare, di ammettere di aver scritto schifezze e fa molto, molto male.

    Spero davvero di esserti stato d’aiuto nel mio piccolo e per la poca esperienza che ho.

    A presto.

    • Vakour on 26/05/2015 at 19:21
    • Reply

    Ti ringrazio nuovamente per avermi risposto, Mi (ri)auguro e mi farebbe piacere che tu possa (ri)leggere il mio commento.

    È un argomento un po’ troppo vasto per essere trattato in una risposta. Magari in futuro ci saranno degli articoli sul lavoro di editing e su cosa comporta. Considera che ho dovuto scrivere Abaddon due volte da zero (e per zero intendo dire foglio bianco), prima di sentirmi dire dal Duca: “Ok, ci si può lavorare sopra.” E dopo ci abbiamo lavorato sopra per un paio di mesi se ricordo bene, forse un po’ di meno, adesso non ricordo esattamente.

    Interessante. Sarei curioso in questi futuri articoli ci fossero delle differenze tra l’editing di un libro e l’editing ad esempio di un progetto pubblicato a puntante. So che è chiedere troppo, però la conoscenza di certi meccanismi di come l’opera viene concepita è sempre bello stimolante per poi approfondire (almeno per me) qualcosa dei futuri articoli.

    Tu scrivi: “…narrativa del duca.” Sono certo che al Duca piacerebbe essere il padre creatore della narrativa moderna e immersiva almeno quanto a me piacerebbe essere Stephen King. Anche usare la parola che hai messo tra virgolette – “convinto” – è inappropriato.

    Effettivamente “genere di narrativa del duca” si basa su un termine improprio che ho utilizzato perché mi riferisco a un articolo sempre del duca.

    Che Genere di Narrativa?
    Per capire che tipo di lavoro verrà svolto sui testi, e decidere di conseguenza se può servirvi, bisogna comprendere tre concetti fonmentali:

    Altresì, anche quella parola “convinto” è inappropriato, ma si riferisce alla terza via di Vaporteppa.

    Cosa vogliamo pubblicare? Buona narrativa di genere: fantasiosa, coinvolgente, avventurosa. Che valga il prezzo pagato.

    Come intendiamo farlo? Negli USA circa un secolo fa si diffuse un detto, da tempo noto anche in Italia: “Ci sono tre modi di fare le cose: quello giusto, quello sbagliato e quello dei militari.”
    Noi non vogliamo fare ciò che hanno fatto tanti altri editori prima di noi, spesso fallendo. Non faremo ciò che è ragionevole pensare giusto e nemmeno ciò che è ovviamente sbagliato. Noi faremo in un terzo modo, “quello di Vaporteppa”, e se non sarà né giusto né sbagliato, se funzionerà nonostante la diversità, buon per noi.

    La domanda è stata posta proprio perché ero curioso di come voi autori vi siete approcciati a questo progetto che nasce in ardimentoso sprezzo… del buon senso.
    E in quelle frasi sopra che leggo che il duca vuole proporre un modo di fare “editoria” (merito, impegno, ecc. ma anche un narrativa basata su dei criteri) diverso rispetto ai canoni degli ultimi anni. Il mio ragionamento quindi si basava dell’essere convinti del progetto vaporteppa rispetto ad altri progetti editoriali di altri case editrici e dalle risposte evinco che ti ha “convinto” (scusami ancora per il termine improprio).

    Se dicessi a qualcuno di mettersi a suonare il pianoforte senza averlo mai toccato e senza aver mai studiato musica, mi riderebbe in faccia. Se gli dicessi di mettersi a scrivere un libro senza aver studiato, non troverebbe la cosa così ridicola o magari declinerebbe solo per questioni di tempo. Siamo tutti scrittori in fondo al cuore, ma non tutti siamo pianisti…

    Sì, è vero, però il problema è che mentre se provo a suonare il pianoforte senza l’aver studiato, le persone che mi ascolteranno hanno riconosciuto quel modo di suonare come una schifezza. Quando si parla del libro, “certe” persone pur conoscendo questi criteri non vengono valutati come oggettivi, cioè sì, c’è l’infodump, c’è questo invece di quest’altro, ma il libro tal de tali è scritto benissimo, ovvero non è più un problema di conoscenza (base) di tecnica, ma nel dire che quel modo di scrivere il libro sia oggettivo o meno, oppure ci sono delle persone che pur riconoscendo che siano dei criteri validi, alla fine la verità sta nel mezzo, cioè che l’infodump se “dosato” bene non è che sia un male.

    Può essere strano. Qua che forse nasce l’inghippo e la mia domanda, Ci sono delle persone che ragionano in questo modo e non ho tirato a caso. Non cito nessun articolo per non rischiare confusione (a meno che non mi dite che posso citare un pezzo di questi articolo). Mi rivolgo a voi scrittori proprio per potere capire, vedere, comprendere e imparare a chi attivamente è partecipa a questo progetto. So pochissimo di come si scrive un buon libro e sono desideroso di imparare e ho ancora tanto da studiare.

    Io sono una persona che pur avendo certe idee è disposta a cambiarle se l’argomentazione si approccia a un metodo razionale, ma ci sono ancora oggi delle persone che (inconsciamente) non accettano questo metodo, credendo al primo che passa e stesso analogo discorso per quanto riguarda la scrittura. Sì, volendo rispondere alla tua domanda. Il metodo scientifico non è accettato come criterio. Un approccio razionale è il modo per riconoscere una persona dall’essere un venditore di frottole o una persona seria, un buon libro da un libro scritto con i piedi.

    Io ho ancora tantissimo da imparare, come ho già scritto, ma se posso sperare di imparare è solo perché penso vi siano criteri oggettivi per farlo: se non c’è nulla di oggettivo, se non c’è una base comune a cui appoggiarsi, non è possibile per definizione né discutere né imparare.
    Sarebbe molto più facile fingere che non ci sia nulla da imparare, si vivrebbe più felici, senza preoccuparsi. Accettare di dover imparare significa accettare di criticarsi, di dubitare, di ammettere di aver scritto schifezze e fa molto, molto male.

    Tanto di cappello! Complimenti.

    Spero davvero di esserti stato d’aiuto nel mio piccolo e per la poca esperienza che ho.

    Grazie del tuo tempo che mi hai concesso, del tuo aiuto e della tua risposta.

    • Fabio on 30/05/2015 at 00:42
    • Reply

    Ciao Giuseppe,

    nell’articolo ha parlato di lavoro, un’attività che essendo a tempo pieno ( e per fortuna, direbbe qualcuno) rischia di divorare molte delle tue energie oltre tempo. una domanda che mi sorge spontanea è: quanto è difficile, o quanto è stato difficile, conciliare questa tua passione con la vita di tutti i giorni?
    E con passione non intendo la mera stesura di Abaddon ma soprattutto la fase precedente, quella di studio delle tecniche, lettura dei manuali e sperimentazione autodidatta.

    Io sono uno studente universitario al secondo anno di un corso di area medica che mi impegna come (e anche più) di un lavoro a tempo pieno. Nell’ultimo anno ho cercato davvero in tutti i modi di portare avanti lo studio “canonico” con quello autodidatta, ma è oltremodo logorante; dopo una mattinata a tirocinio e un pomeriggio di lezione e una sera passata a studiare ortopedia o neurologia (tanto per nominare alcune delle materie più simpatiche) mi è davvero difficile non crollare addormentato davanti al racconto che vorrei scrivere o a “Story” di Mckee…
    Hai qualche consiglio in merito? dovrei accantonare tutto in attesa di tempi migliori oppure perseverare, prima o poi, renderà le cose più facili?

    Ovviamente queste domande sono anche per il Duca, nel caso avesse qualsivoglia suggerimento.

    • Giuseppe Menconi on 30/05/2015 at 18:47
    • Reply

    Ciao Fabio.

    Ciao Giuseppe,

    nell’articolo ha parlato di lavoro, un’attività che essendo a tempo pieno ( e per fortuna, direbbe qualcuno) rischia di divorare molte delle tue energie oltre tempo. una domanda che mi sorge spontanea è: quanto è difficile, o quanto è stato difficile, conciliare questa tua passione con la vita di tutti i giorni?
    E con passione non intendo la mera stesura di Abaddon ma soprattutto la fase precedente, quella di studio delle tecniche, lettura dei manuali e sperimentazione autodidatta.

    Io sono uno studente universitario al secondo anno di un corso di area medica che mi impegna come (e anche più) di un lavoro a tempo pieno. Nell’ultimo anno ho cercato davvero in tutti i modi di portare avanti lo studio “canonico” con quello autodidatta, ma è oltremodo logorante; dopo una mattinata a tirocinio e un pomeriggio di lezione e una sera passata a studiare ortopedia o neurologia (tanto per nominare alcune delle materie più simpatiche) mi è davvero difficile non crollare addormentato davanti al racconto che vorrei scrivere o a “Story” di Mckee…
    Hai qualche consiglio in merito? dovrei accantonare tutto in attesa di tempi migliori oppure perseverare, prima o poi, renderà le cose più facili?

    Ovviamente queste domande sono anche per il Duca, nel caso avesse qualsivoglia suggerimento.

    Beh, credo che a questa domanda ognuno abbia una sua risposta e ogni risposta sia giusta. Rientra nell’ambito di cosa ti piace fare, di quanta passione hai e di quelle che sono le tue priorità. Se la scrittura ti piace davvero tanto, in qualche modo scrivi. Sta a te vedere come organizzare il tuo tempo.

    Lavorare/studiare a tempo pieno e “cercare” di diventare uno scrittore è difficile, nessuno lo mette in dubbio, soprattutto per una questione di aspettative. Un medico guadagna molto di più di uno scrittore. Anche con la mia attuale professione guadagnerò sempre molto di più di quanto può farmi guadagnare scrivere (rimanendo con i piedi per terra, si intende).

    Quindi, diciamo che sei nella mia stessa posizione e devi chiederti se scrivere ti piace davvero così tanto da farlo senza aspettative; diciamo, per estremizzare il concetto, farlo come una cosa fine a sé stessa. Per portarti un esempio, a me piace andare in bicicletta; so che è una cosa fine a sé stessa e che mi dà piacere farla, ma non vincerò mai il giro d’Italia. Probabilmente se mi potessi allenare tutti i giorni e potessi pensare solo a quello, potrei perlomeno parteciparci. La stessa cosa con la scrittura.

    Preservare non rende le cose più facili, ti porta solo un pochino più avanti per quando sarai nei tempi migliori di cui parli, se mai arriveranno, ma è vero, ti logora. Chiediti se ne vale davvero la pena.

    ma è oltremodo logorante; dopo una mattinata a tirocinio e un pomeriggio di lezione e una sera passata a studiare ortopedia o neurologia (tanto per nominare alcune delle materie più simpatiche) mi è davvero difficile non crollare addormentato davanti al racconto che vorrei scrivere o a “Story” di Mckee…

    Io al tuo posto avrei già mollato e mi sarei dedicato completamente all’università. È impensabile che tu possa scrivere un romanzo se le tue giornate sono così, almeno io non ci riuscirei. Magari puoi studiare la teoria, i manuali, seguire qualche corso anche con il Duca – non so se li faccia ancora, chiediglielo – ma scrivere un romanzo dall’inizio alla fine con nella testa università e tirocinio è una cosa abbastanza notevole da fare anche perché immagino e spero che tu abbia una vita privata che devi conciliare con tutto il resto.

    Per chiudere, l’unica cosa positiva che ti posso dire è questa: se davvero la scrittura ti appassiona, finirai per non cedere. Io finirei l’università e poi, se ancora la passione è rimasta, mi metterei a scrivere, anche perché tutto quello che scriverai adesso sarà influenzato, nella qualità e nel tempo di stesura, da quel logorio di cui parli.

    Spero di esserti stato d’aiuto.

    A presto!

  3. @Fabio
    Tratta la scrittura come se fosse qualsiasi altro hobby con vincoli obbligati. Non so… fai una qualche arte marziale che ti impone di andare a lezione 2 sere a settimana e sai che se salti lezioni non migliorerai mai? Ecco che uno si obbliga ad andare.
    Se si vuole davvero qualcosa, lo si fa. Se si comincia a non farlo, a trovare scuse, a dare priorità ad altre cose… significa che non è qualcosa di davvero importante: la PS4, uscire con gli amici, altre cose sono “più importanti”. Sei troppo stanco per farlo quando hai tempo o magari lo fai ma riesci a scrivere troppo poco?

    Ti espongo un caso classico: uno vuol fare pesi per mettere su massa, ma può allenarsi solo dalle 8 alle 9, poi scappare dalla palestra e correre all’università? E magari deve usare per forza anche sabato e domenica mattina? Uno rinuncia a uscire con gli amici, va a dormire presto (fondamentale per far massa), mangia correttamente (e magari si prepara il pranzo a casa la sera prima, per non finire a mangiare troppi carboidrati e troppe poche proteine in qualche mensa o bar), smette di bere alcolici.
    Non lo fa? Significa che mettere su muscoli non gli interessa davvero.

    Stesso discorso per la scrittura. Sacrifica tutto ciò che non ti aiuta a produrre risultati, se ritieni che la scrittura sia più importante. Se amici, bere, tennis ecc. ecc. sono tutti non sacrificabili, allora la scrittura non è veramente importante: inutile preoccuparsene, è solo un hobby passeggero allora. Tantissime persone hanno la fase in cui vogliono scrivere, ma non è un desiderio autentico e dopo un po’ smettono.

    Se invece pensi che sia più importante di tante altre cose…
    Un aiuto per sfruttar meglio i tempi ed essere più produttivo, così potrai scrivere di più (o leggere di più):
    fregatene dei social.

    Se sei abituato a usare facebook, google plus ecc., smettila o riducili a 20-30 minuti giornalieri. Col conto a rovescia e la sveglia che suona e zero sgarri. Togli le notifiche dalla App sullo smartphone. Non guardare i social quando sei al PC a fare altro. Obbligati a un regime rigido: guardare le mail SOLO a certi orari, usare i social SOLO in una certa ora (possibilmente a sera tardi quando magari sai già che sei troppo stanco per scrivere, se è questo il caso).

    Dividere la propria attenzione, balzare continuamente da ciò che si fa a una notifica su facebook, alla mail, a spulciare un articolo linkato ecc. a qualsiasi altra cosa fa volare via il poco tempo libero e, peggio ancora, affatica il cervello. Se anche lo fai in momenti in cui non staresti scrivendo, è qualcosa comunque che affatica balzare di attività in attività.
    Bisogna focalizzarsi. Come si è sempre fatto prima dei social (le mail non erano così distruttive per una persona normale).

    Cosa fare nel tempo in cui non hai altro da fare? Mentre fai la coda, mentre aspetti qualcosa, mentre guidi, mentre cammini, mentre aspetti 20 minuti l’esercitatore in aula in ritardo? Pensa alla tua storia. Immagina i dettagli esatti. Cerca di capire se hai le parole per esprimerli con il punto di vista. Vedi tutto? Se non stai pensando in ogni momento libero a ciò che vuoi scrivere e a come scriverlo, se non arrivi davanti al word processor che hai già in mente scene su scene, dettaglio per dettaglio (e anche frase per frase, quasi a memoria), e devi solo farle fluire fuori, significa che scrivere non è una priorità autentica.
    Questo è un metodo che usa anche Giuseppe, ne parleremo in un futuro articolo.

    Prova. Se lo fai risparmierai gran parte del tempo e il poco che hai per scrivere lo potrai usare davvero per scrivere senza sprecarlo.

    Domandati sempre: hai già sacrificato tutto per poter scrivere? Davvero è rimasto solo l’università e lo studio a parte la scrittura? Risponditi e tranne le conseguenze. Se davvero hai già fatto tutto il possibile, fai come suggerisce Giuseppe: metti da parte tutto e scrivi dopo la laurea… o il dottorato o quel che vorrai fare. 🙂

    Ciao!

    • Fabio on 09/06/2015 at 18:27
    • Reply

    Ciao,

    ringrazio entrambi per le vostre parole anche se avete espresso due concetti totalmente agli antipodi; per quanto mi riguarda credo tuttavia che seguirò (o almeno proverò) ciò che consiglia il Duca, che sempre fedele al motto “severo ma giusto” piazza le giuste osservazioni senza tanti giri di parole.

    fregatene dei social.
    […]
    Dividere la propria attenzione, balzare continuamente da ciò che si fa a una notifica su facebook, alla mail, a spulciare un articolo linkato ecc. a qualsiasi altra cosa fa volare via il poco tempo libero e, peggio ancora, affatica il cervello. Se anche lo fai in momenti in cui non staresti scrivendo, è qualcosa comunque che affatica balzare di attività in attività.
    Bisogna focalizzarsi.

    questa frase è ferocemente veritiera, anche se nel mio caso non proprio relativa ai social quanto più al web-surfing compulsivo. Ricerche affini alla storia che lentamente degenerano verso abissi di inconcepibile stranezza sono la norma e io stesso riconosco in questo la principale causa di tempo sprecato

    toccherà lavorarci di più

    Cosa fare nel tempo in cui non hai altro da fare? Mentre fai la coda, mentre aspetti qualcosa, mentre guidi, mentre cammini, mentre aspetti 20 minuti l’esercitatore in aula in ritardo? Pensa alla tua storia. Immagina i dettagli esatti. Cerca di capire se hai le parole per esprimerli con il punto di vista. Vedi tutto? Se non stai pensando in ogni momento libero a ciò che vuoi scrivere e a come scriverlo, se non arrivi davanti al word processor che hai già in mente scene su scene, dettaglio per dettaglio (e anche frase per frase, quasi a memoria), e devi solo farle fluire fuori, significa che scrivere non è una priorità autentica.
    Questo è un metodo che usa anche Giuseppe

    questo invece è un ottimo, davvero ottimo consiglio. Mi capita già di riflettere su quello che scrivo, ma le mie erano semplici riflessioni sulla trama e sulla struttura della storia, mai avevo mai pensato di fare una “narrazione concreta”. Da provare.

    di tuo Giusteppe mi segno però questa frase per la sua onestà

    Preservare non rende le cose più facili, ti porta solo un pochino più avanti per quando sarai nei tempi migliori

    Ripeto, grazie a entrambi 😉

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