Torna Mondo9, l’ambientazione di grandi navi viventi che solcano il deserto di un mondo post-apocalittico, immaginata da Dario Tonani. Perché parlare della nuova uscita di un altro editore, Mondadori? Perché in questo caso è un’opera sufficientemente interessante. Come lo so visto che è appena uscita? Perché ne ho letto la prima metà due anni fa.

Illustrazione di Franco Brambilla
Ricapitoliamo cosa sono le storie di Mondo9.
Cronache di Mondo9, in uscita oggi come Millemondi Urania cartaceo (in edicola) e in eBook (online), è un volume unico che raccoglie tutte le storie scritte da Tonani riguardo Mondo9, le prime quattro originali del primo ciclo e le cinque del secondo ciclo. Le prime quattro storie (Cardanica, Robredo, Chatarra e Afritania) erano quattro racconti tra horror, fantascienza e steampunk, prima pubblicati in eBook da 40k e successivamente ripubblicati da Delos Books in edizione cartacea con la raccolta Mondo9 del 2013.
Il nuovo volume Cronache di Mondo9 ora in vendita aggiunge al primo ciclo di quattro storie un secondo ciclo di altre cinque storie (Mechardionica, Abradabd, Coriolano, Bastian e Miserable, tre romanzi brevi e due racconti). Quest’articolo di segnalazione tratterà però solo il primo ciclo di storie, quello letto all’epoca di SteamCamp 2013. L’intervista di Dario Tonani, qui ripubblicata con il suo consenso, risale al 2013 ed è relativa al primo ciclo.
Come mai riproporla? Secondo me è interessante anche oggi e, comunque, le indicazioni disponibili sul primo ciclo (quasi metà opera) sono sufficienti per decidere se comprare o meno la nuova raccolta in base all’interesse. In più vengono affrontati alcune questioni di scrittura simili a quelle di cui già parliamo nei nostri articoli, per cui male non fa a chi vuole vedere i “dietro le quinte” dei ragionamenti di chi scrive. 🙂
Sul sito dell’autore potete trovare tutte le informazioni e i link agli articoli dedicati al Mondo9. La prima raccolta, intitolata Mondo9, ha avuto pure un’edizione in Giappone, cosa decisamente rara per un’opera italiana. Dal sito di Tonani ecco una breve descrizione di cosa sono il Mondo9 e la mostruosa Robredo che lo solca:
Mondo9 è un pianeta desertico, infetto, letale, una sconfinata distesa di sabbie velenose punteggiata di agglomerati urbani fatti di ingranaggi, ruote dentate e pulegge. Nel corso dell’evoluzione i suoi abitanti si sono applicati a una sola scienza, la meccanica, hanno sviluppato una sola disciplina, la carpenteria, rendendolo il regno delle macchine, del metallo, della ruggine. Il pieno dominio sull’elettricità è ancora solo una chimera, eppure Mondo9 vive su una fiorente attività di commerci. A solcare i deserti tra una città e l’altra (ma anche i ghiacci dei poli) sono titanici veicoli a ruote, grandi quanto bastimenti e governati da decine di uomini.
La Robredo è una nave ciclopica, la più potente e famelica di Mondo9, fiore all’occhiello della cantieristica locale. È costruita di rude metallo, alimentata da un mix alchemico di vapore, olio lubrificante e batteri. Ma soprattutto è una creatura senziente! Fa su e giù dal deserto alle banchise polari, viaggiando per mesi senza incrociare anima viva, in balia degli elementi e di una natura selvaggia, estrema, infernale.
I quattro racconti del primo ciclo non seguono tanto le vicende di singole persone quanto quelle di una di queste macchine, la Robredo.
La vicenda inizia in Cardanica con un incidente: la colossale Robredo si è bloccata e l’equipaggio fugge verso gli pneumosnodi. Il primo ufficiale Garrasco e un altro membro dell’equipaggio raggiungono uno pneumosnodo denominato Cardanic e credono di essersi messi in salvo. Sfortunatamente per loro i sistemi per garantire la sopravvivenza del veicolo, nel tentativo di recuperare energia, carburante e lubrificante a sufficienza per raggiungere la città più vicina, trascineranno Garrasco in uno scenario da incubo.

Illustrazione di Franco Brambilla
Robredo e Chatarra seguono le successive vicende della Robredo attraverso il suo incontro con due coppie di personaggi: due cacciatori che vivono in condizioni miserabili, padre e figlio, e due giovani avvelenatori di macchine, sorella e fratello. Abbandonata e bisognosa di riparazioni, la Robredo ha trovato un modo per sfruttare la vita animale. Grazie a una colonia di uccelli da contaminare e plasmare generazione dopo generazione secondo le propria volontà, è riuscita a procurarsi nuovi pezzi di ricambio. L’incontro con i due cacciatori darà una svolta alle operazioni di riparazione.
Afritania è ambientato circa 30 anni dopo gli eventi di Cardanica e vede le due navi dei titoli affrontarsi in un duello mortale. A bordo dell’Afritania vi è Garrasco, ancora ossessionato dagli eventi vissuti nello pneumosnodo Cardanic.
L’intervista che segue, risalente al 2013 (ricordiamolo ancora), è un approfondimento con l’autore dedicato ai contenuti (idee, spunti, avvenimenti) dell’opera. Non è una recensione né un’analisi letteraria: se l’opera vi interessa, provate a leggere l’anteprima su Amazon e se vi attira compratela. A me il primo ciclo non era dispiaciuto, come si può notare leggendo la vecchia intervista, per cui io la compro. Sono solo 4,99 euro! 🙂
— Quattro chiacchiere con l’autore
Salve Dario. Premetto ai lettori che, come sai visto che sei stato così gentile da fornirmele tu, ho letto le quattro storie in eBook e non ho nemmeno visto il cartaceo pubblicato da Delos Books.
Dato che ho indicato entrambe le opzioni di acquisto (e in coda all’articolo si possono trovare i link esatti per l’acquisto e i prezzi) puoi dirmi se ci sono differenze, se il volume unico aggiunge altre vicende oppure se c’è una cornice narrativa ulteriore?
Tecnicamente il volume cartaceo è un Fix-up, e quindi piuttosto diverso dalla somma delle quattro parti pubblicate in forma digitale. In buona sostanza ospita circa un 15% in più di materiale inedito. Ognuna delle quattro storie, infatti, è inframmezzata da uno o due “interludi”, con funzione di collegamento; a questi si aggiungono poi un prologo e un epilogo. In genere, si tratta di piccoli approfondimenti di un paio di cartelle, che mi sono serviti per dare spessore al profilo del protagonista umano – il comandante Garrasco – ma soprattutto “prospettiva” all’ambientazione e respiro di romanzo all’insieme narrativo. Compare anche un vero e proprio racconto bonus-track, che si sviluppa in una cornice forse inattesa per Mondo9: i ghiacci perenni della banchisa polare, dove la nave “Robredo” vive uno dei suoi episodi più spettacolari. Il tutto poi è stato abbondantemente rieditato rispetto alla versione ebook: soprattutto alla luce del fatto che al tempo della pubblicazione di “Cardanica”, il primo capitolo, non avevo pensato a uno sviluppo seriale e che solo con la riunione delle quattro storie potevo avere un quadro generale di tutta la vicenda.
Nota di Vaporteppa su questa domanda “d’epoca”: ora Cronache di Mondo9 include, come indicato prima, altre cinque storie dedicate a un secondo ciclo di avvenimenti che iniziano 119 minuti dopo la fine di Afritania. Anche i cinque nuovi episodi, come i primi quattro, per l’uscita della raccolta sono stati arricchiti con brevi brani di connessione che approfondiscono personaggi e situazioni. |
Le quattro storie vengono indicate come Horror, Fantascienza e un pochino di Steampunk. Direi che l’ordine torna. Effettivamente al centro vi è il tema horror più fisico che psicologico, di sfondo il bisogno di uno scenario fantascientifico che ricorda vagamente Dune a dare un po’ di tocco personale (ma senza particolare interesse per il What If fantascientifico), e infine c’è una spruzzata estetica di Steampunk inteso come gusto della macchina “vecchio stile”, dei componenti in movimento, della potenza esplosiva. L’estetica termodinamica che ha coinvolto perfino la stessa poesia nell’Ottocento (si veda ThermoPoetics di Barri J. Gold), oltre a plasmare un nuovo modo di concepire la guerra rispetto al Settecento.
Che cosa ti piace dello Steampunk e perché, coscientemente o magari inconsciamente come spesso capita, ti sei avvicinato a questo genere. Pensi di proseguire con contaminazioni Steampunk nelle tue opere future di fantascienza o pensi anche di affrontare il genere in senso puro, come “agenda creativa” dell’opera? Ti piace lo Steampunk a tutto tondo, in cui lo Steampunk non è solo estetica o qualche accenno rimovibile, ma è il fondamento stesso dell’opera, come nel fumetto La Lega degli Straordinari Gentlemen?
A rigor di etichetta, ovviamente, Mondo9 non è uno Steampunk puro. Ma la parola Steampunk è un’approssimazione tutto sommato legittima, che penso renda ragione del sapore che ti rimane sulla lingua a fine lettura. In realtà, il romanzo (permettimi di chiamarlo così) è un’ibridazione tra generi attigui: fantascienza, horror, fantasy, secondo un ordine che può essere molto variabile da lettore a lettore. È vero, di Steampunk ha sostanzialmente l’estetica, un gusto alienamente retrò e, certo, il concetto di macchina come belva meccanica. Le navi di Mondo9 non ricordano forse le locomotive a vapore della frontiera americana o quelle dell’espansione della rete ferroviaria nell’India coloniale? Ciò detto, anche il registro fantascientifico è molto forte: c’è qualcosa di Hall9000 in ogni nave di Mondo9, solo che il silicio è sostituito da un mix alchemico di metallo, ruggine e olio lubrificante. Che cosa mi piace dello Steampunk? Appunto la sua estetica, la fascinazione per la potenza muscolare della meccanica, per il suo gigantismo, per le speranze a cui dà sfogo e respiro: tutti elementi che le astronavi di certa space opera di oggi – letteraria o cinematografica che sia – stentano a dare. Hai citato La Lega degli Straordinari Gentlemen? Ecco, esattamente! Con un bel po’ di Rabelais, Bosch, Goya, Bacon…

Illustrazione di Franco Brambilla
Dicevo prima che in fondo queste storie sono Steampunk solo in senso vagamente estetico. C’è la paura della macchina fisica, visibile, di metallo che gronda olio, puzza e accumula sporcizia, invece che la paura di realtà virtuali, nanotecnologie, controllo della mente nelle società sempre connesse a realtà aumentata o di altri elementi meno brutalmente presenti e più asettici.
In questo vorrei dire che il tuo Mondo9, pur non essendo Steampunk vero e proprio, è più Steampunk di quanto non sembri. Il tema della macchina che in virtù della sua elevatissima tecnologia acquista coscienza e si ribella all’uomo è proprio un tema della fantascienza dell’Ottocento. Penso alla locomotiva capace di alimentarsi da solo con due bracci meccanici in A Mexican Mystery del 1888, anche a costo di strappare pali del telegrafo… e, come le tue macchine, capace di usare i suoi arti per fare a pezzi le persone. O al suo seguito The Wreck of a World del 1889 in cui la rivolta delle macchine supertecnologiche si è estesa agli Stati Uniti fino a prenderne il controllo, con scenari distopici alla Terminator in un contesto puramente meccanico, senza il tema novecentesco dei supercomputer ribelli.
Temporalmente parlando, le navi senzienti di Mondo9 sono ben oltre il momento topico della ribellione: siamo al punto che la storia la fanno loro, le macchine, e nessuno ricorda quando tutto questo sia cominciato né tantomeno perché. Sono semmai gli umani, dopo essere stati soggiogati da tempo immemorabile, ad essere sulla soglia di una rivolta. Il tema però è quello: macchina vs essere umano, metallo vs carne, caposaldo di tanta, tantissima fantascienza d’antan. Una nota personalissima: detesto gli ambienti asettici di certa Science Fiction degli anni 60-70, quando sembrava che il futuro dove essere innanzitutto ordine, precisione, lindore. Ricordi la nave-cargo “Nostromo” di Alien? La dirty vision del cyberpunk? La ruggine della mie navi a ruote è nate da lì…
Rimanendo sul tema principale, quello horror, ho gradito particolarmente la presenza di uccelli contaminati dalle macchine e ricostruiti come mostri biomeccanici. Fanno anche un po’ pena nella loro esistenza al servizio della macchina. Mi hanno ricordato un po’ anche i mostri del famosissimo manga horror Gyo di Junji Ito, quello che inizia con i pesci morti che escono dal mare camminando su gambe metalliche. A cosa si ispira la tua scelta di inserire mostri di questo genere? È nata solo dall’idea, che ho apprezzato molto, del far covare uova in cui si formano i pezzi di ricambio della Robredo oppure prima è nata l’idea dei mostri contaminati in questo modo e poi è venuta l’idea delle uova?
L’idea degli uccelli è nata con la seconda storia, Robredo. Immaginati il relitto di una nave a ruote naufragata nel deserto: un buio universo di componenti meccanici che ha sempre vissuto su un dosato equilibrio di movimento e lubrificazione delle superfici. Ora è ferma, e per giunta immersa nella sua nemesi – la sabbia – in grado di far inceppare, danneggiandolo irrimediabilmente, qualsiasi meccanismo. Una colonia di uccelli ha scelto quei rottami come suo habitat. Forse è un incontro fatale, un ammiccamento tra metallo e carne. Il guano è un surrogato di lubrificante che potrebbe funzionare. Così come le piccole prede che gli uccelli portano nel becco e fanno cadere nelle viscere della Robredo. Natura e meccanica hanno stretto la loro alleanza e le uova-ricambio saranno solo un step ulteriore dell’inedita simbiosi…
Passiamo ai veri protagonisti delle tue storie: le macchine, in particolare la Robredo più che il suo pneumosnodo senziente Cardanic o la colossale rivale Afritania. La Robredo nella prima storia ci pare gigantesca, ma sappiamo che in fondo è solo l’equivalente di una nave cargo con le ruote. Grossomodo. Nella quarta storia arriva Afritania, con ruote di dodici metri di diametro e una vera e propria cittadina abitata dall’equipaggio umano. Una nave-città che dilania altre navi più piccole e ne fagocita il contenuto, le anime dei morti che fanno da mente e da motore di queste navi. Per dare un’idea della sue dimensioni cito “Percorse per una cinquantina di metri una passerella sospesa”, “[le ruote] Erano alte una dozzina di metri”, “un regno in ombra che si inoltrava per almeno un migliaio di metri sotto la città. Il ventre, la pancia della nave.”
Mi ha fatto subito pensare a due romanzi molto noti. Parlo ovviamente di Inverted World (Il mondo alla rovescia) di Christopher Priest e di Mortal Engines (Macchine mortali) di Philip Reeve. In particolare del secondo, in cui il mondo post-apocalittico e devastato, una landa desolata, è percorso da città mobili che divorano ogni risorsa disponibile e catturano e mangiano (ovvero smantellano e usano) le città nemiche più piccole. Darwinismo municipale, come lo chiama Reeve. La tua Afritania mi ha ricordato una di quelle città, ma con il disperato bisogno di un esorcismo. Come mai questa reinterpretazione horror, che tra parentesi mi è piaciuta?
In origine (nella prima storia) le navi sono semplici mezzi di trasporto senzienti governati da decine di uomini. Sono dotate d’intelligenza e interagiscono con l’equipaggio più o meno allo stesso modo di un animale col proprio addestratore. Guai a contraddirlo e guai a mettersi di traverso ai suoi piani. Poi però, col passare del tempo, il rapporto s’inverte, e ci si chiede chi addestri chi. Le macchine imparano la più complessa delle doti umane: sopravvivere. Il metallo ha doti osmotiche, assorbe come una spugna, cresce, matura, si evolve. E le macchine diventano voraci, bellicose, scientemente carogne. Ma tutto ciò lo devono all’uomo, e in questo la mia mini-saga si discosta dal darwinismo municipale del ciclo Mortal Engines di Philip Reeve, che pure ho adorato. Per semplificarla, mettiamola così: il loro pessimo carattere deriva da ciò che hanno assimilato di umano e che ha finito per riempire le loro stive, insomma da una sorta di cattiva digestione. E in questo, ti do ragione, hanno disperato bisogno di un gastroenterologo con doti di esorcista…
Dicevo prima che i veri protagonisti sono le macchine, come importanza e come capacità di guidare le vicende, ma su questo aspetto contenutistico tornerò dopo. Ora vorrei farti una piccola domanda tecnica, legata al protagonismo estetico delle macchine e al tono della narrazione.
La sensazione che ho avuto è di essere assieme al personaggio per davvero solo quando il protagonista è Garrasco, nella prima e nella quarta storia. O al massimo un po’ quando ci sono Lara e il fratello in Chatarra. Insomma, quando ci sono personaggi per cui è giustificabile il registro linguistico adottato.
Il secondo racconto, Robredo, mi ha dato l’impressione che il bambino protagonista non fosse davvero tale, la telecamera e il narratore-autore che la manovra rimangono troppo spesso fuori dalla mente del bambino, addirittura balzano senza preavviso in quella del padre. Mancanza di chiara focalizzazione che si presenta più volte, non solo quando comunichi al lettore come narratore onnisciente cosa hanno sognato sia bambino che genitore (“Dormirono entrambi poco e male, visitati da sogni d’infezioni che straziavano le carni e arroventavano le ossa”).
Più che un narratore onnisciente consapevole direi che è un narratore invadente, a livello linguistico, che impone il proprio registro sulla storia (un registro che però andava bene con Garrasco nel racconto Cardanica), anche quando dovrebbe invece abbandonarlo a favore del registro linguistico più naturale e credibile per il filtro di un bambino nomade pezzente che vive di caccia con arco e frecce assieme al padre moribondo.

Illustrazione di Franco Brambilla
È evidente che non è il filtro mentale del bambino cacciatore a pensare in termini di “fece il periplo”, “borborigmo”, “minimo regime”, “La struttura era alta come una cattedrale”. Cattedrale, ci tornerò nella penultima domanda, forse ci suggerisce anche qualcosa sulla storia dell’ambientazione.
Ipotizzo che ci sia dietro un amore per la meccanica, per l’estetica della macchina da rappresentare senza il filtro di un bambino selvaggio e completamente ignorante, da quanto è lecito dedurre dal racconto, che vedrebbe le cose come un antico romano proiettato nella sala macchine di un sottomarino, non in termini precisi di “Pistoni che andavano su e giù, ruote dentate, giunti e argani in movimento”.
È questo amore che ti ha portato a scegliere di evitare di focalizzare il lettore nella mente del bambino nomade, negare al lettore l’obbiettivo tipico della narrativa post-Flaubert, ovvero la catarsi riformatrice dell’immedesimazione “dura e pura”, avvolgente e viscerale come è la grande narrativa immersiva, pur di non perdere quel linguaggio specifico e quel tono usati nella prima storia e impiegati anche nelle due successive?
Non sarebbe stato meglio allora usare un personaggio diverso con cui quel linguaggio suonasse meno inconciliabile, per evitare l’effetto invadente del narratore-autore che si sostituisce al narratore-personaggio? Come hai fatto con Lara e col fratellino, gli avvelenatori di macchine di Chatarra, con cui questo registro suona un po’ più naturale?
No, non è stato l’amore per la meccanica. Credo che tu in parte abbia ragione, può senz’altro sembrare che il bambino del secondo capitolo – Robredo – si comporti e si esprima un po’ sopra le righe per uno della sua età. In realtà, la nave non è del tutto inerte con il suo unico occupante: interagisce attraverso la presenza del padre, che continua ad aleggiare nonostante la sua assenza fisica. Sappiamo per averlo imparato quando ancora i due erano insieme nel deserto, che il padre era una sorta di istitutore/guida/maestro del piccolo Yussouff; quella saggezza e quegli insegnamenti sono diventati tutt’uno col metallo della nave e ancora sono in grado d’incidere, plasmandola, la coscienza del ragazzino… E accaduto forse che questa osmosi tra la Robredo e Yussouff io non sia riuscito a renderla con la dovuta chiarezza, com’era nelle mie intenzioni.
Me lo domandavo perché le poche volte in cui il filtro della vicenda è ben piazzato nella mente e nei sensi dei personaggi, vengono fuori brani molto più scorrevoli, leggibili, vividi (più dettagli visibili e meno riassunti), capaci di far immergere nell’atmosfera horror della storia. Ti riporto per esempio questi tre brani:
“Bingo, fratellino! Passami il cannocchiale.”
Erano sbucati in cima a una delle navi più grandi, alle loro spalle avevano una ciminiera che forse neanche sette uomini avrebbero potuto abbracciare.
Sulla lingua la pioggia sapeva di ruggine e a guardarla in controluce, dietro le lenti, appariva anche lievemente rosata.
Lara abbassò il cannocchiale.
Nota come sia tutto coerentemente con Lara, addirittura vediamo attraverso il cannocchiale coi suoi occhi e filtriamo le dimensioni della ciminieria non con il righello del Narratore-Dio-Geometra-GoogleMaps (TOT metri!), ma con la sensazione un pochino più spicciola e visiva della ragazza (“neanche sette uomini avrebbero potuto abbracciare”).
Una delle pareti – completamente marcia – era butterata di fori dai contorni taglienti. Sul metallo erano fiorite grosse macchie di verderame e chiazze di robaccia più chiara che avevano tutta l’aria di essere incrostazioni di sale secco. L’altra, pur arrugginita da capo a fondo e inclinata di 45 gradi, era appena un po’ meno malconcia. Entrambi i relitti sembravano morti da tempo. E puzzavano come uno spezzatino che avesse trascorso l’ultimo mezzo secolo a mollo in un intingolo di acidi.
Fori. Macchie. Chiazze che il personaggio che ci fa da filtro non potendo sapere cosa esattamente siano le interpreta come “robaccia più chiara”, forse sale secco. E la puzza di carne marcia e acidi, odori che sente il naso del filtro e non una telecamera neutra dotata di sola vista. Molto meglio, no?
Lara afferrò i montanti della scaletta e andò per prima, la sacca che le batteva sulla schiena a ogni piolo che saliva. “È tutto morto qui, fidati!”
“Dov’è il sole?”
Si voltò a guardarlo, penzoloni nel vuoto. “Il sole non c’è a Chatarra. Qui piove sempre, non lo sapevi fratellino?”
Le sensazioni tattili della sacca che sbatte sulla schiena per personaggio che fa da filtro. L’assenza di dialogue tags (sia le indicazioni “utili” come disse, urlò ecc… che quelle inutilmente autoevidenti come rispose, confermò, domandò ecc…). È molto più sensoriale, vivido, senza elementi che ci ricordino che è solo un testo scritto e che ci buttino fuori dalla storia.
Avrei voluto che fosse tutto così, per godermi molto meglio l’ambientazione che per quanto non sia in sé innovativa o originale è un bel mix meritevole di elementi e suggestioni. E a livello di gusto personale, anche se è insignificante per il discorso tecnico, a me piace questa ambientazione.
Lo stesso problema lo avevo notato su un altro autore con importanti problemi di trasparenza e di immersione, seppure nettamente superiore a tanti altri venuti dopo (non c’è paragone con opere illeggibili come i fantatrash Unika e Arsalon), ovvero Licia Troisi. Quando voleva, ovvero raramente, Licia riuscì anche a scrivere brani decenti nelle Cronache del Mondo Emerso:
Con gli occhi di Ido puntati addosso, Nihal arretrò fino a trovarsi con le spalle al muro. Accidenti. E adesso? Non le restava che confessare. «Ho fatto il tatuaggio…» disse con un filo di voce.
Sbuffo di fumo. «E che razza di tatuaggio ti sei fatta?» Sbuffo di fumo.
«Due ali… sulla schiena…»
Sbuffo di fumo. Silenzio.
«Non sono tanto grandi… E poi hanno un significato…»
Sbuffo di fumo. «Non ti faccio una scenata solo perché…» sbuffo di fumo «solo perché siamo in ritardo. Altrimenti mi avresti sentito, eccome! E ora sparisci, prima che cambi idea.»
Nihal schizzò fuori dalla capanna con un mezzo sorriso sulle labbra.
Scrittura semplice. Chiara. Niente dialogue tags.
Un uso troppo ripetitivo sempre dello stesso beat, lo sbuffare della pipa, ma perlomeno è un beat “visivo” invece di un disse/rispose/replicò ecc… anche se il “silenzio” stile pesce lesso è poco elegante e i puntini di sospensione come se piovesse, seppur non troppo sgradevoli in questa situazione, non sono comunque un segnale di alta qualità, vabbè. Comunque se TUTTA la prima trilogia di Licia Troisi fosse stata scritta così, con un livello minimo di decenza, senza riassuntini e senza il narratore invadente/confuso, sarebbe stata molto più leggibile!
Resta il fatto, a tuo ovvio vantaggio, che mentre le opere di Licia sono prive di qualsiasi attrattiva per un lettore interessato al fantasy, per cui anche se venissero scritte tecnicamente bene rimarrebbero insignificanti e inutili, il tuo Mondo9 invece è una bella ricombinazione di idee già viste, ma reinterpretate e mischiate in un modo che io ho trovato interessante. Reinterpretare e mischiare è la chiave del progresso, dell’evoluzione, come già fanno da tempo i giapponesi. È un vero peccato, lo ripeto, che lo stile di scrittura adottato non sia votato alla più vivida e coinvolgente immersione… e di conseguenza castri il potenziale dell’opera.

Illustrazione di Franco Brambilla
[Attenzione: su questa domanda e sulla sua risposta vi sono SPOILER! Non sono gravi, non rovinano la lettura, ma comunque sono presenti.]
Torniamo alle macchine protagoniste anche a livello contenutistico. I personaggi mi sono parsi passivi o meglio così inermi di fronte alle macchine da poter solo reagire blandamente, sovrastati dalla possente volontà dei macchinari.
Garrasco nella prima storia è privato di ogni possibilità di giudizio e di scelta, perfino quando è messo di fronte all’idea di dover compiere un sacrificio umano e donarlo a Cardanic (il pneumosnodo cosciente), non è lui a compiere davvero il sacrificio e alla fine la macchina agisce senza che lui debba far nulla. Lo priva della responsabilità di decidere: Garrasco addirittura sta dormendo mentre l’epilogo del misfatto ha luogo. Gli altri personaggi della seconda e terza storia sono attivi, ma le loro decisioni di fronte allo strapotere tecnologico della macchina sono insignificanti.
Solo alla fine della quarta storia Garrasco compie un vero atto di volontà che assieme è anche determinante per la storia, è un atto che guida la vicenda e non si limita a subirla. Nella sua mente è sempre viva la Robredo, ma sta scegliendo di agire di propria volontà. O almeno così appare.
In questa passività e in questa impotenza generale rivedo il tema della Guerra dei Mondi di Wells sulla pochezza dell’uomo di fronte alla superiorità tecnologica dell’alieno… e dell’alieno rispetto ai batteri, come a dire che il mondo non è tanto di chi agisce per plasmarlo, ma è forgiato anche da eventi casuali che hanno conseguenze catastrofiche (o salvifiche, per noi umani). Come mai questa scelta narrativa?
Sì, vero, gli esseri umani possono ben poco nei confronti della macchine di Mondo9. Sono sostanzialmente cambusa, scoria, riserva di olio lubrificante. Nell’ultimo capitolo – Afritania – saranno però anche bottino, e in ultima analisi abili strateghi, sebbene in una sorta di “aldilà intrometallico”. C’è ineluttabilità, codardia e mancanza di libero arbitrio nel loro agire? Certo, nella catena alimentare di Mondo9 il metallo è un paio di gradini sopra la carne; e questo significa che l’uomo è relegato a una condizione di subordine, in una sottesa guerra tra specie. Ma, come dici tu, una sorta di redenzione si profila all’orizzonte. In fondo ogni guerra ha il proprio Masaniello e il proprio Davide!
Passiamo all’uso di alcuni termini.
L’opera è “completa” ed è in mano ai lettori, per cui ogni cosa scritta a meno che non violi la coerenza interna va considerata come giusta, come un indizio di ciò che non viene detto esplicitamente.
È la vecchia regola che guida la narrativa.
Se Conan, il cui mondo Hyperboreano è ambientato dopo Atlantide e prima delle nostre civiltà, avesse bevuto da un fiasco colmo di Chianti o se Gandalf avesse urlato a Pipino “Idiota di un Tuc, piantala di chiacchierare e di gesticolare come un italiano in vacanza!” oppure se nella Cronache di G.R.R. Martin dei personaggi avessero giocato a un gioco di carte che pare la Peppa/Hearts e uno avesse detto “Madonna, oggi mi faccio più regine di Lancillotto!”, quelli sarebbe errori di coerenza con quanto noto nel romanzo: riferimenti inaccettabili alle storie e alle culture del nostro mondo.
Se però un personaggio di un mondo post-apocalittico si riferisce a un passato regno antidiluviano chiamato Italia, questo ci informa solo che quella vicenda è ambientata nel nostro futuro! Non è un errore.
Nel tuo caso infatti le parole che si riferiscono in modo netto, chiaro, al nostro mondo possono essere indizi di qualcosa d’altro. Non mi riferisco alla resa in italiano di concetti come “brugola” o simili, intendo proprio i riferimenti geografici, culturali, linguistici “espliciti”. Un po’ come lo sono ne La Figlia del Drago di Ferro di Swanwick, in cui “completo italiano”, l’origine araba della parola Alchimia spiegata da uno dei personaggi oppure un paio di espressioni in spagnolo sottolineano solo con più forza il parallelismo tra il mondo fatato e il nostro mondo (che sono a loro modo in contatto, infatti, e la storia verte su quello alla fine).
Nel tuo Afritania di fronte a “cubano”, “tartara”, “à la coque” (e molto secondariamente con “cattedrale” in Robredo), cosa è lecito immaginare? Che Mondo9 sia un mondo futuro colonizzato dagli umani fino a quando una catastrofe lo ha portato prima al collasso e poi a un risorgere di civiltà ignare della vita in altri pianeti… oppure che lo stesso Mondo9 sia la nostra Terra ridotta a una distesa velenosa di città stato e giganteschi mezzi ribellatisi ormai all’uomo, in uno scenario distopico di un lontano futuro dopo la caduta delle attuali civiltà?
Essendo l’opera “fatta” ha poco senso chiedertelo, ormai l’interpretazione in base alle esatte parole che hai scelto è in mano ai lettori, ma se in futuro dovessi tornare sulla questione per scrivere una nuova opera che incameri ulteriori suggestioni, verso quale spiegazione preferiresti puntare?
Domanda davvero intrigantissima. Rispondo cominciando dalle scelte linguistiche e diciamo cosi “referenziali”. Sì, perché negarlo, la Terra c’è, aleggia: nei nomi dei personaggi – arabeggianti e spagnoleggianti – e in alcune locuzioni che hai citato. Devo però confessarti che la scelta dell’onomastica/toponomastica è stata un’escamotage, una scorciatoia per suggerire la vastità dello scenario. Ammetto di avere pensato a mondi sconfinati come Big Planet di Jack Vance, Le cronache Majipoor di Robert Silverberg, il Ciclo di Helliconia di Bian Aldiss. Le parole dovevano dare il senso delle proporzioni, prima ancora che suggerire una location piuttosto che un’altra. Quindi Terra, mi chiedi? Fai conto che ci sono tre lune nel cielo, anche se tutto il resto lo farebbe supporre; a ben guardare, però, la storia delle navi, la loro genesi, la loro evoluzione non deporrebbe a favore di una scelta terrestre. Potresti citarmi di nuovo le città trazioniste di Reeve, ma lì c’era stata la Guerra dei Sessanta minuti e tutto era chiaro fin dall’inizio. Come forse saprai sto lavorando al seguito, che uscirà con le stesse modalità di Mondo9, dapprima i capitoli singoli in ebook e poi il Fix-up cartaceo. Insomma, prometto di pensarci. Scherzo naturalmente, non è Terra questa, anche se poco ci manca.

Illustrazione di Franco Brambilla
Lo scenario delle vastità coperte di sabbia tossica ricorda una versione più cupa di Dune. A calcare su questo dettaglio c’è il fatto che le macchine, soprattutto quando non sono colossali, possano trovarsi addosso le fauci dei Mangiaruggine che sbucano all’improvviso dalle sabbie e raggiungono anche i settanta metri di lunghezza, come il mostro visto da Garrasco in Afritania.
Mi ha fatto pensare a un incrocio tra i vermoni in stile Dune, poi ripiantati in tutte le salse in tante altre opere (incluso il videogioco Mass Effect 2), e l’odiatissimo – dai giocatori – rugginofago del gioco di ruolo Dungeons & Dragons. La tua idea viene da questo mix o è nata in modo diverso?
Dune è stato un riferimento del tutto inconscio, ma capisco che appaia in qualche modo evidente. Quanto ai mangiaruggine come vermoni, confesso di non averci mai neppure lontanamente pensato: come dico proprio nel quinto episodio che sto scrivendo, sono “uno strano ibrido tra mondo animale e vegetale, un incrocio tra specie, un accrocchio di bestia, pianta e conchiglia”. Mondo9 è una terra di abomini e di prodigi: dalla sabbia al metallo delle navi, tutto è velenoso, tossico, letale, estremo, infernale. Ma in realtà mancava qualcosa di “vegetale”, la dolcezza di un fiore!
E ora, per chiudere, un mio piccolo feticismo. Quando ho scoperto per la prima volta Cardanica, un paio di mesi dopo l’uscita, avevo subito sperato in scenari d’orrore in un veicolo gigante simili a quelli del videogioco Dead Space. In parte queste atmosfere sono state confermate dagli uccelli biomeccanici e dal morbo, che hanno un po’ il potenziale dei necromorfi del gioco. E in Afritania il fatto che gli spiriti dei morti si uniscano nel corpo della nave ricorda un pochino la dottrina Unitologista in Dead Space. Sfortunatamente le dimensioni ridotte delle storie non permettono un’esplorazione di questo tipo, ma se in futuro dovessi scrivere un romanzo, disponendo così di tutto lo spazio necessario per una storia sola, ti piacerebbe creare uno scenario di horror a base di colossale nave città “indemoniata”, mostri contaminati e gente che impazzisce e si massacra allegramente?
Lo trovo uno scenario abbastanza lontano dalle premesse della mini-saga. Il registro horror rimarrà anche nel sequel di Mondo9, ma sono convinto che gli aspetti sui quali costruire sviluppi siano altri. Primo fra tutti, da dove vengono le navi. Chi le ha costruite e perché. E se davvero siano state fabbricate, magari in un buio cantiere sottoterra, o non siano piuttosto “nate”, alla stregua di qualsiasi creatura del mondo animale. E il Morbo che trasforma la carne in ottone, che funzione ha? Esiste un antidoto? Perché le sabbie dei deserti sono tossiche? Vogliamo parlare poi della simbiosi tra metallo e volatili? Come vedi, le domande aperte non mancano. Segno che il cantiere è ancora aperto e lungi dalla fine-lavori.
Grazie della chiacchierata molto stimolante, Marco. Stay tuned!
Vuoi saperne ancora di più?
L’intervista è datata e non penso proprio che Tonani guarderà eventuali commenti o avrà tempo di rispondere, per cui penso che sarà inutile rivolgersi a lui qui come si può fare con i nostri autori nelle loro interviste, ma se volete approfondire la nostra conoscenza di Mondo9 su Fantascienza.com è disponibile un’intervista a Tonani fresca fresca.
Buona lettura col Mondo9 di Dario Tonani!
3 comments
Ciao Duca bell’articolo, ci sono molti spunti interessanti, soprattutto la parte sulla gestione del punto di vista che spero, se avrai voglia e tempo, venga trattato in maniera più approfondita nei prossimi articoli.
Leggerò con piacere Mondo9.
Attendo con impazienza anche di leggere quel libro scritto in terza persone che sembrava una prima che indicasti in un precedente articolo, ci sono aggiornamenti al riguardo. 🙂
Ciao Duca,
grazie dell’attenzione che hai voluto riservare a Mondo9, anche in questa sua ultima incarnazione editoriale. Certo che vi seguo, e se qualcuno vorrà estendere la chiacchierata, volentieri risponderò…
Buona lettura allora. 🙂
Ciao ai lettori di Vaporteppa!
Dario
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Meglio ancora! Grazie Dario!