Benvenuto nella pagina dedicata alle note editoriali su grammatica e altro ancora. Come probabilmente già sai, includiamo delle note in fondo a ogni nostra opera per spiegare le nostre scelte ai lettori in segno di rispetto.
Nei cartacei, per risparmiare pagine, inseriamo solo le note tipiche di quel libro e avvertiamo che sul sito è possibile trovarne altre più generali. Beh, la pagina è questa e spero che ti possa essere utile!
Buona lettura!
Indice delle note
Sé stesso o se stesso?
Una piccola nota sul “sé stesso”, da noi di Vaporteppa preferito rispetto al “se stesso”. La presunta regola ferrea per cui in presenza di “stesso” sia vietato porre l’accento è un’invenzione propinata nelle scuole (è l’opinione del linguista Luca Serianni), senza alcuna base e senza alcuna utilità.
Se fosse solo una questione di variante comune, non sarebbe un problema, non c’è nulla di male ad avere sia “se stesso” che “sé stesso” (a parte eventuali casi confusi come “se stessi”): sfortunatamente l’idea che sia una regola è talmente diffusa che i lettori, spesso, vedendo “sé stesso” scritto correttamente pensano che sia sbagliato e si fanno di conseguenza una cattiva idea del testo. Per questo moltissimi editori, giustamente, scelgono di premiare la trasparenza della parola scritta e tolgono l’accento per evitare di attirare l’attenzione dei lettori.
Il problema però è che non dicono di averlo fatto e per quale motivo, rinforzando così implicitamente l’idea, con la propria auctoritas di editori, che “sé stesso” sia sbagliato. Non abbiamo una regola fissa su Vaporteppa, anche se preferiamo usare l’accento, ed è l’autore (o il traduttore) a decidere: in questo caso abbiamo scelto di non mettere l’accento, seguendo il gusto personale della traduttrice.
Maggiori informazioni nel vademecum sull’accento della Crusca, nella pagina dedicata al “sé stesso” dall’Accademia della Crusca, sul dizionario del Corriere e su Wikipedia.
E abbiamo anche un video dedicato del Duca (visibile dalle 9:00): diffondilo tra i tuoi amici!
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Lineetta o puntini?
Cambiando argomento, ma neanche troppo, forse alcuni di voi, soprattutto chi non legge abitualmente narrativa in inglese, avranno avuto un attimo di smarrimento al primo incontro con “—” (nome tecnico em dash, o lineetta emme).
Qualcuno la prima volta lo avrà scambiato per un errore di codifica di un carattere, magari dei classici puntini di sospensione “…” a cui gli editori italiani ci hanno abituati usandoli un po’ per tutto: sia per far sfumare nel non udibile o interrompere lentamente una frase, sia per interrompere bruscamente una frase. Non penso ci voglia molto a capire che se lo stesso segno viene usato per due ruoli radicalmente opposti (sfumatura lenta e interruzione brusca), con significati narrativi nettamente diversi e un impatto uditivo in lettura molto diverso, forse qualcosa non va: l’italiano apparentemente non sa distinguere le due cose, possibile? Siamo linguisticamente handicappati?
Ovviamente non è così, l’italiano sa distinguere perfettamente, ma per volontà degli editori si impose in Italia l’abitudine di tradurre tutte le lineette emme con dei puntini di sospensione, lasciando alla fantasia del lettore (nei casi ambigui) e al contesto (nei casi sicuri) di discriminare tra i due tipi di interruzione. Badate bene, non stiamo parlando di pratiche spesso legittime e sensate come ridurre drasticamente gli incisi all’inglese tra lineette per sostituirli con incisi tra virgole, più comuni in italiano, ma di un forzato impoverimento della contenuto informativo della lingua scritta fine a sé stesso.
Ho notato, in anni di insegnamento della scrittura, che rivelare ai nuovi autori il diverso significato dei due segni “—” e “…” permetteva di rendere molto più credibili e ricchi di opzioni i loro dialoghi, fino a quel momento incatenati dall’incertezza di significato dei puntini e, assieme, dal timore (corretto) di usarne troppi. Perché sputare sull’italiano, una lingua meravigliosa, attribuendogli pochezze di cui non ha colpa alcuna se non per via del lavorio pigro di decenni di editori poco attenti? Vaporteppa non lo fa e non lo farà.
Per maggiori informazioni sull’uso nei dialoghi della lineetta emme, vi rimando a Wikipedia.
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Misure non metriche
Ne La Tachipompa e altre storie, che è una raccolta d’epoca di racconti di fine Ottocento, abbiamo conservato miglia e piedi per desiderio della traduttrice, ma di norma nelle altre opere abbiamo aderito a quella che è la prassi nelle traduzioni per le opere moderne di narrativa: il sistema di misura imperiale (miglia, piedi, pollici) è stato sostituito con quello metrico.
Semplici motivi di maggiore immediatezza nella comprensione: molti lettori possono non sapere a cosa equivalgono libbre, pollici, piedi, pertiche, iarde o altre, oppure lo sanno ma devono fermarsi a fare i conti per dare un senso visivo in metri, centimetri ecc. Eppure per il lettore inglese questo è trasparente, perché per un lettore italiano la lettura deve contenere un ostacolo non desiderato dall’autore originale?
Non è una buona idea obbligare il lettore a un secondo di pausa per trasformare a mente, magari nel mezzo di un combattimento emozionante, un cratere di venti piedi in uno di sei metri (peggio ancora se a quei venti piedi non sapesse proprio cosa abbinare in metri). Abbiamo conservato misure particolari solo quando servivano a dare un tocco esotico, tipico, di un’ambientazione diversa (soprattutto in caso di dialoghi).
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Il plurale di marrone è marroni?
Da novembre 2015 sulle nuove opere di Vaporteppa fa il suo ingresso ufficiale la parola “marroni” col significato di plurale dell’aggettivo marrone. Nel parlato è largamente diffuso da molto tempo, ma per decenni ha aleggiato la leggenda metropolitana che “marroni” potesse indicare esclusivamente il plurale del frutto di nome marrone (quello simile alla castagna, per intenderci) e mai e poi mai essere il plurale dell’aggettivo, che invece doveva rimanere “marrone” sia al plurale che al singolare. Guai a contestare l’illogicità della cosa, si veniva tacciati di ignoranza: ed ecco gli autori, mesti mesti, ad adattarsi e quando possibile (per esempio nel descrivere gli occhi) a sostituire marrone con castani.
Anche su Vaporteppa avevamo abbozzato al gusto tutto italiano per il marrone (yum!) fino a oggi. Ciò che è cambiato dal 2014 al 2015 è che il giorno 11 maggio 2015 l’Accademia della Crusca si è espressa ufficialmente online. Non dico lo abbia fatto con “grandissima vendetta e furiosissimo sdegno”, in fondo non siamo in Pulp Fiction, ma quasi: marroni come colore è lecito e ha solidissime basi nella storia della letteratura (idem per arancione è arancioni).
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