Nel precedente articolo abbiamo visto le origini del genere Steampunk e il tipo di opere che definisce. Riassumendo molto rapidamente: lo Steampunk è fantascienza moderna retrofuturistica ispirata alla narrativa fantastica e alla storia dell’Ottocento.
Oggi usciremo dall’ambito narrativo per esplorare l’estetica Steampunk. Come mai? Perché attorno allo Steampunk nato nella narrativa si è evoluto un insieme di contaminazioni negli altri campi, dalla musica al vestiario all’oggettistica. Vedremo come anche l’estetica sia strettamente legata alla definizione usata per la narrativa e come quindi richieda uguali conoscenze di base per essere realizzata con cognizione di causa.
Steampunk: Moda ed Estetica
Cos’è un oggetto steampunk, in poche parole? Un oggetto con un aspetto anacronistico tale che non sfigurerebbero in un mondo alternativo steampunk. C’è quindi un legame con la narrativa perché, se è steampunk ciò che potrebbe provenire da un’ambientazione steampunk, allora avere le idee chiare sugli elementi storici e narrativi da cui nascono i mondi steampunk aiuta a immaginarne gli oggetti. Pensiamo agli abiti che hanno un evidente sapore ottocentesco pur senza essere ottocenteschi, oppure al modding retrò, come le tastiere e i computer decorati in radica e ottone, abbellimenti che li fanno somigliare al Telefonoscopio di Albert Robida.
Cos’è il Telefonoscopio?
È un oggetto ‘fantascientifico’ mostrato da Albert Robida in nel romanzo Le Vingtième Siècle del 1883. Uno schermo piatto che funziona come videotelefono e televisore per accedere a contenuti registrati o in streaming, prodotti nei teatri ufficiali oppure dagli artisti indipendenti presso le loro case (come i podcast sui siti internet amatoriali). Prendiamo un LCD di oggi, decoriamolo con una cornice scolpita e dorata, come quella di un bel quadro antico, e Robida stesso lo scambierebbe per la sua idea.

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Possibili motivazioni dietro l’estetica Steampunk
Possiamo interpretare lo Steampunk come una reazione alla tecnologia dalle forme asettiche, con un design essenziale che le priva di qualsiasi bellezza. La potenza del motore, il grasso degli ingranaggi, la meccanica in movimento che si può ‘riparare’ come si potevano riparare in proprio le automobili fino a pochi decenni fa, tutto è sostituito da una tecnologia indistinguibile, per il profano, dalla magia. Invisibile, “incomprensibile” e spesso… inaffidabile.
L’Ottocento esaltava la bellezza della meccanica, la danza dei pistoni, come ricorda Herbert Sussman nel libro Victorian Technology. Una tecnologia che era assieme robusta, funzionante e piacevole alla vista.
Cosa ha di bello un tipico tablet, esteticamente? Sarà anche funzionale, ma sembra un vassoio per i panini! Non è possibile, a una prima occhiata, desumere la sua funzione dalla sola forma. Sappiamo che un tablet e un vassoio sono diversi, ma è la nostra conoscenza pratica e non la forma percepita con i sensi, non è la “fisicità” a dirci che è così.
Lo stesso dubbio non è possibile averlo confrontando un’automobile con un fucile, entrambi hanno forme che dichiarano il proprio ruolo. Manca nei gadget moderni la sensazione di una tecnologia comprensibile, a misura d’uomo, ovvero di una tecnologia che sia in sé il servizio fornito, non solo un mezzo (intercambiabile) per accedere a servizi remoti come streaming di film, app o documenti nel cloud.

“The Clacker” di Richard Nagy
Cambiare uno smartphone con il successivo e accedere agli stessi servizi posseduti prima, potenziati dal nuovo dispositivo più avanzato, è diverso rispetto a cambiare un’auto con un’altra o un fucile con un nuovo fucile.
L’oggetto è divenuto solo una porta di accesso ai servizi forniti da terzi, non è il fornitore in sé dei servizi. Servizi che, amaramente, possono essere bloccati in più modi: se Amazon ti cancella l’account, perdi i libri acquistati. Una chiave inglese invece non può essere ‘bloccata’ dal negozio che l’ha venduta. Non si possiede più ciò che si usa, si hanno solo delle licenze temporanee e si pagano a caro prezzo degli oggetti per usufruire di queste licenze.
Steampunk o Neo-Vittoriano?
Il nuovo boom dello Steampunk nel XXI secolo ha coinvolto spesso individui che non hanno mai letto narrativa Steampunk. O nemmeno sapevano che esistesse lo Steampunk e solo dopo hanno scoperto che ciò che piaceva a loro aveva un nome preciso ed era un gusto molto più comune di quanto credessero.
Lo Steampunk è quindi rinato in modo autonomo, basandosi su un qualcosa di preesistente che non era mai scomparso del tutto (narrativa, videogiochi, fumetti), ed esplodendo per un interesse diffusosi grazie al web verso l’estetica della macchina, verso la bellezza dell’oggetto che ha un aspetto legato alla sua funzione. Talvolta legandosi, negli abiti femminili, alla moda gotica o a quella lolita.
Il problema dello Steampunk come estetica è che si sovrappone in parte all’estetica Neo-Vittoriana, che già di per sé si occupava di reinterpretare gli oggetti moderni tramite la visione del passato.
Dire Neo-Vittoriano o Steampunk, riferendosi a un cellulare moderno che sembri creato un secolo fa, diventa più questione di scelta che altro. Visto il legame con il Telefonoscopio di Robida, e in generale con le meraviglie della Fantascienza d’epoca, io sono più propenso a indicarlo come Steampunk, termine più completo, ma non è sbagliato usare l’altro. D’altronde lo Steampunk è nato come genere narrativo mentre il Neo-Vittoriano come sottocultura e moda, in pratica come corrispettivo dello Steampunk in ambiti diversi.
Lo Steampunk si distingue dal Neo-Vittoriano perché ha una vocazione più spiccatamente narrativa, di fantasiosa invenzione e di costruzione di personaggi e mondi immaginari, più adatta a descrivere i vestiti e i gadget che hanno una “storia” dietro.
Elementi fantascientifici, storici e… neutri!
Iniziamo con una “semplice” suddivisione del vestiario (outfit, se preferite l’inglese):
- Un costume ottocentesco fantascientifico, con un finto braccio meccanico dagli ingranaggi bene in vista che suggeriscono l’idea di un vero braccio artificiale, è semplicemente steampunk.
- Un costume dal sapore ottocentesco senza elementi fantascientifici, ispirato ai costumi storici e senza pretesa di suggerire altro, è semplicemente neo-vittoriano.

Il Colonnello Angus di Steampunk Italia
Chiaro? No, non proprio, infatti il costume ottocentesco, sia nel caso venga modernizzato che nel caso rimanga fedelmente storico, non stonerebbe per nulla in un’ambientazione steampunk e di conseguenza sarebbe anche un buon costume per lo Steampunk!
Ricordate che lo Steampunk, come visto nel precedente articolo, può essere anche Fantascienza moderna ambientata nel normale Ottocento… e la gente del normale Ottocento veste correttamente per l’epoca, o poco diversamente, senza aver bisogno di fucili a raggi, zaini-razzo o braccia meccaniche!
La distinzione tra elementi caratteristici e neutri è importante.
Gli pneumatici e l’uso dei tubi in gomma vulcanizzata appartengono in pieno al Lungo XIX Secolo, ma di sicuro non sono un elemento caratteristico: quindi la gomma, in un costume, essendo elemento neutro non è in sé steampunk; anzi, se inserita con scarso criterio può essere un danno visto che dei sottili tubicini di gomma bianca trasparente su una maschera o su un braccio meccanico rovinerebbero l’idea di un’estetica ottocentesca. Se un costume è composto solo da elementi accettabilmente neutri, e mai spiccatamente ottocenteschi, come si può definirlo steampunk?
Lo Steampunk richiede ragionamento nei dettagli e una chiara visione di ciò che si vuole realizzare, sia questo un romanzo, un fumetto, un gadget o l’outfit di un personaggio da interpretare.
Rotelline incollate a caso?
Molti oggetti non sono Steampunk, nemmeno vagamente, e gli si attribuisce quel tag solo per attirare clienti in modo truffaldino, tanto da ispirare una sezione del sito Regretsy in cui si denunciano proprio “trucchetti” del genere.
Bisogna anche distinguere l’oggetto Steampunk che esprime un qualche recupero stilistico su una base funzionante per davvero (modding di cellulari e pc) oppure che manifesta una “finzione” di usabilità (costumi con armi finte, braccia meccaniche), dalle cialtronate assemblate incollando delle rotelline su oggetti altrimenti normalissimi.
Per esempio esiste perfino un fucilone controcarro vero costruito secondo i precetti Do It Yourself artigianali di recupero dei materiali gettati via, dotato di un’estetica che richiama il passato e che impiega perfino tecnologie del periodo per il caricamento e lo sparo.
Meglio un abito ispirato alla moda d’epoca che, pur non essendo Steampunk in sé, comunque non stona in un’ambientazione Steampunk, piuttosto che incollare rotelline a caso su una calzatura o su un abito che non c’entrano niente.
Difficile indicare come “serio” Steampunk gli occhialoni con le rotelline incollate attorno senza un motivo immaginabile (rotelline separate, non parte di un finto meccanismo di scambio lenti) oppure con orologi, bussole o ingranaggi incollati sopra le lenti “perché sì”. Peggio che inutili: non si vede nulla!
C’è troppa oggettistica steampunk fatta solo di rotelline incollate, come se gli appassionati dovessero reagire alle “meravigliose e misteriose componenti meccaniche” nello stesso modo in cui gli sciamani del Terzo Mondo si incollano CD, specchietti e perline addosso ai vestiti o si fanno collane con i cellulari rotti.
Altro che bellezza ed estetica retrò utilizzabile, altro che raccontare/suggerire una storia di fantasia con il proprio costume: lo diventa estetica modaiola svuotata di contenuto. Come commentò amaramente Jess Nevins, esperto di storia della Fantascienza nell’Ottocento, criticando un’altra sovrapposizione tra mode precedenti e Steampunk:
Steampunk is what happens when goths discover brown.
[Lo Steampunk è ciò che succede quando i goth scoprono il marrone.]
La questione non è se ci siano rotelline, ma se l’oggetto appaia come qualcosa proveniente da un “passato industriale che non è mai stato” ovvero se potrebbe davvero appartenere a un mondo steampunk.
Lo Steampunk e il fetish per le rotelline possono sovrapporsi, e spesso lo fanno, ma non sono sinonimi, e le rotelline sono condizione non necessaria né sufficiente a fare di qualcosa un oggetto steampunk.

Striscia di Kate Beaton
L’introduzione prosegue con la terza parte su coerenza e verosimiglianza.
Provenienza dell’articolo
Questo articolo è apparso per la prima volta un anno fa su Sugarpulp Magazine in occasione del lancio di SteamCamp, una evento interamente dedicato allo Steampunk. Prima di questo articolo diviso in quattro parti c’erano state altri due articoli introduttivi, il più antico (e più letterario/rigido) risalente al maggio 2011.
Successivamente l’articolo è stato ripubblicato, in versione leggermente modificata, sul blog dell’autore (Baionette Librarie) e mesi dopo, con altre piccole modifiche stilistiche, sulla rivista Terre di Confine (primo numero della nuova edizione).
La versione che trovate qui è l’ultima, con ulteriori piccole modifiche e precisazioni (ma nessuna che riguardi la teoria esposta “in soldoni”). Grazie per averlo letto.
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