Torna indietro: marzo, dal primo al dieci.
11 marzo
1888: inizia la Grande Tormenta del 1888 che colpì per tre giorni New York, il New Jersey, e le aree limitrofe. Caddero fino a un metro e mezzo di neve, spinto da venti che superarono i 70 e perfino i 120 km/h, causando cumuli di neve alti fino a 15 metri!
I treni non potevano viaggiare, cavi telefonici ed elettrici finirono strappati a penzolare per le strade, e la popolazione dovette rimanere chiusa in casa per una settimana. La temperatura crollò fino a -14 °C. La tormenta causò circa 400 morti e danni per 25 milioni di dollari dell’epoca (circa 660 milioni di oggi).
12 marzo
1881: Andrew Watson fa il suo debutto nella nazionale scozzese come primo giocatore di calcio professionista nero! Andrew era figlio di un ricco proprietario scozzese di piantagioni di canna da zucchero e di una donna nera della Guyana britannica.
Dal 1880 era nel Queen’s Park F.C. Venne convocato tre volte nella nazionale scozzese, tra 1881 e 1882, tutte partite vinte. La prima volta, nel ruolo di capitano della nazionale contro l’Inghilterra, trionfò con un 6 a 1. Non venne più convocato in nazionale, nonostante i successi, perché le regole imponevano che si fosse residenti in Scozia e lui si era dovuto trasferire a Londra nell’estate del 1882 per giocare negli Swifts.
13 marzo
1881: lo zar Alessandro II viene assassinato con una bomba lanciata da un terrorista membro del gruppo “volontà del popolo” (narodnaja volja).
Vennero lanciate due bombe: la prima colpì la carrozza, ma non ferì lo zar (la carrozza era a prova di proiettile) che uscì per assicurarsi di come stessero gli uomini della sua scorta e per parlare con l’attentatore appena arrestato dai cosacchi… a quel punto un secondo attentatore tirò l’altra bomba, quella che uccise lo zar assieme al primo attentatore. Il terzo attentatore non dovette entrare in azione.
Che atto di barbarie incomprensibile uccidere un uomo con baffi così belli!
14 marzo
1861: il tricolore con lo stemma di Casa Savoia, lo stesso già adoperato dal Regno di Sardegna, viene confermato come bandiera del Regno d’Italia, proclamato tre giorni dopo. Viva il Re! Viva l’Italia! Viva la Libertà!
15 marzo
1888: inizia la guerra anglo-tibetana combattuta dai britannici per scacciare gli invasori del Tibet dal regno del Sikkim, a nord del Darjeeling. Fu una vittoria britannica, che scacciarono senza troppa fatica i soldati invasori inviati dal Tibet.
I britannici da tempo avevano interesse nel Sikkim, prima per studiarne la flora e valutare la possibilità di coltivare il tè, poi come porta di accesso al misterioso Tibet, una nazione teocratica (il sistema del Ganden Phodrang durò dal 1642 al 1950) di enorme estensione e di cui si sapeva pochissimo, che era protettorato cinese con tanto di governatore e di guarnigione nella capitale Lhasa fin dal ‘700.
Da quando i britannici avevano ottenuto il Darjeeling, divenuto in poco tempo sede di stupendi giardini del tè in stile “cinese” (a differenza di quelli un po’ meno pregiati dell’Assam), il loro interesse per il Sikkim subito a nord era solo aumentato, anche per contrastare una possibile influenza russa nel corso del “Grande Gioco” tra le due potenze. Oggi il Sikkim dispone di uno dei giardini del tè di qualità più alta al mondo, grazie alla tenacia con cui i britannici dalla seconda metà dell’Ottocento diffusero la coltivazione di questa pianta meravigliosa fuori dalla Cina.
Anche il tredicesimo Dalai Lama, monarca assoluto del chiuso e arretrato Tibet, era interessato al Sikkim e aveva un’influenza enorme, come guida spirituale, sul Chogyal (re) della regione. Al Chogyal era perfino stato ordinato dall’Amban (governatore cinese) di Lhasa, così disse, di non recarsi in visita nel vicino Darjeeling per incontrare il vice-governatore britannico!
Appena i britannici mostrarono rinnovato interesse a stabilirsi commercialmente in Sikkim per tentare di esplorare il Tibet, allo scopo anche di catalogarne la flora e prelevarne campioni e semi (come avvenne in Cina), 300 soldati delle forze tibetana calarono per oltre 20 km nel Sikkim e catturarono la strada che dal Darjeeling attraversava il regno e portava in Tibet. Strada che i britannici avevano il diritto di usare!
I britannici ne furono turbati. Ancora di più perché fin dal 1886 stavano pianificando una spedizione diplomatica a Lhasa, la capitale del Tibet, proprio per discutere le rispettive sfere di influenza in Sikkim, coinvolgendo anche l’Amban cinese, e trovare un compromesso per una convivenza pacifica e scambi commerciali proficui. Non volevano combattere senza motivo contro una misteriosa e affascinante nazione buddista, per quanto arretrata e facile da schiacciare.
Allo stesso tempo il Dalai Lama temeva i britannici, a causa della loro potenza che in Nepal e altrove aveva già ridotto l’influenza politica tibetana, e anche i Qing in Cina concordavano che se solo i britannici avessero avuto un accesso al Tibet sarebbero penetrati a piacimento, che lo si volesse o meno. Il Dalai Lama, monarca di un regno così arretrato e chiuso da far apparire lo Stato Pontificio di pochi decenni prima un fulgido esempio di modernità, aveva insomma buoni motivi per inviare soldati nel Sikkim.
I britannici decisero di ritirare la proposta di inviare una spedizione diplomatica a Lhasa, sperando di calmare i tibetani, ma non servì: questi costruirono un portone a bloccare la strada verso il Tibet e delle fortificazioni a difenderlo. L’incidente era diventato una vera e propria invasione del Sikkim. Dopo un primo tentativo fallito di trovare un compromesso tramite la Cina, il Raj Britannico fu costretto ad aprire le ostilità col Tibet. La missione della spedizione britannica non era di violare i confini del Tibet, ma solo di scacciare gli invasori dal Sikkim.
In poco tempo i tibetani inviarono altri soldati a contrastare la piccola spedizione britannica, erigendo anche muri per bloccare l’accesso alla valle tibetana di Chumbi, tanto da costringere i britannici all’invio di rinforzi dal Bengala per portare da 500 a 1600 i soldati del colonnello Graham che si trovavano a poca distanza da una minacciosa forza di 8000 guerrieri tibetani conciati con spade e armature come se fossero sbucati da secoli nel passato.
Arrivati allo scontro, in poco tempo i tibetani armati di archi e moschetti a miccia vennero mandati in rotta e, arretrati e inferiori com’erano per organizzazione e coraggio, ma non per numeri, come un esercito di maligni ratti buoni solo a tiranneggiare sui derelitti, non furono in grado di riorganizzarsi.
I britannici avevano vinto. Dio salvi la Regina!
16 marzo
1869: Louis-Guillaume Perreaux brevetta il design della prima motocicletta, che impiegava un motore a vapore e un telaio di bicicletta Michaux, a cui stava lavorando da un paio di anni. La motocicletta a vapore Michaux-Perreaux venne perfezionata fino al 1885. Il primo modello aveva un motore da un cavallo e arrivava a 14 km/h.
Nel 1870 il “Vélocipede à Grande Vitesse” ebbe un motore elettrico, ma venne abbandonato subito a favore di vari motori a vapore alimentati a petrolio, olio o alcool.
A contendersi il titolo di prima motocicletta della storia vi furono anche la Roper (1868) e la Daimler Reitwagen (1885), quest’ultima per essere stata la prima con un motore a combustione interna, condizione prevista per l’essere una motocicletta da diverse fonti (es: il dizionario Oxford), proprio come le motociclette successive.
17 marzo
1861: proclamazione del Regno d’Italia! Gioite, l’Italia è (grossomodo) unita: il nostro amato sovrano non è stato sordo alle grida di dolore che si alzavano da tutta la penisola!
Prossimo passo: demolire di calci nel culo quell’ammasso retrogrado di superstizione dello Stato Pontificio e completare così il grosso dell’unificazione!
18 marzo
1937: il Pedaliante (aliante a pedali) Bossi-Bonomi fa il suo primo volo di ben un chilometro fuori Milano. Chi ha bisogno del petrolio e dei motori, vezzi borghesi per le gambette deboli della perfida Albione, nazione di bottegai?
L’italica gioventù con autarchica pedalata vola dove la mollezza demoplutocratica non immagina nemmeno di osare!
19 marzo
1853: il movimento riformatore Taiping, in Cina, cattura Nanchino e la rende la capitale del proprio regno. Il movimento Taiping aveva portato a una rivolta del sud della Cina contro il dominio dei Qing, gli invasori Manciù del nord che avevano conquistato gli altri cinesi secoli prima e imposto l’umiliante rasatura e il codino come marchio di sottomissione ai conquistatori.
Il movimento Taiping era guidato da Hong Xiuquan, un cinese che grazie alla lettura della Bibbia e a delle visioni aveva scoperto di essere il fratello minore di Gesù Cristo. Aveva come consigliere un missionario evangelico battista, venuto dagli USA. Grazie a questa sua nuova consapevolezza di figlio di Dio, Hong Xiuquan aveva creato un movimento nazionalista vagamente ispirato al cristianesimo, con l’obiettivo di portare giustizia sociale e rendere la Cina moderna e potente, in grado di resistere alle ingerenze occidentali.
Nel suo Regno Celeste della Grande Pace (nato nel 1851) la terra era distribuita ai contadini in base al numero di persone in ogni famiglia, incluse le donne che finalmente erano considerate un po’ meglio che mere riproduttrici, e il nucleo di base su cui si organizzava lo Stato erano le unità di 25 famiglie. Queste unità dovevano organizzare la produzione, il lavoro, la difesa (la coscrizione obbligatoria) ecc. il tutto in un regime in cui vigeva la comunione dei beni e il commercio privato era proibito. Un regime di “comunismo di guerra”, in pratica.
I Taiping avevano un vero e proprio stato indipendente, più moderno di quello dei Qing, non era una rivolta senza uno scopo e senza un domani.
Sotto i Taiping vennero proibite le fasciature che deformavano i piedi delle donne fin da bambine. Venne dichiarata l’eguaglianza dei sessi e le donne ottennero maggiore rispetto e libertà, con anche la possibilità di divenire burocrati, ma fu un mondo in cui comunque i sessi erano tenuti separati: c’erano donne nell’esercito, ma in unità combattenti di sole donne. Gioco d’azzardo, alcool, schiavitù, prostituzione, oppio, poligamia e concubinaggio vennero dichiarati illegali.
Nel 1855 i Taiping tentarono perfino, fallendo, di conquistare Pechino. Contro i Taiping i Qing optarono per la prima “guerra totale” della storia della Cina moderna: distruggere completamente il territorio riconquistato, considerando la popolazione civile come un obiettivo uguale, o perfino superiore, ai militari.
Fu una brutta guerra da entrambe le parti, in cui i campi venivano distrutti, ogni risorsa del territorio resa improduttiva e la popolazione civile sterminata con esecuzioni di massa dopo la cattura dei centri abitati. Centinaia di città vennero distrutte e alla fine tra soldati (un po’) e civili (la gran parte) morirono in 14 anni 20 milioni di persone.
Al fianco della Cina Qing e dei suoi vasti eserciti vi era anche “l’Esercito Sempre Vittorioso”, uno dei più piccoli eserciti in campo (solo 5000 uomini nel momento di massima estensione), ma anche uno dei più efficienti: truppe cinesi armate e addestrate all’occidentale, basando il tutto su una grandissima mobilità unita al volume di fuoco, comandate da ufficiali occidentali.
Al comando dell’Esercito Sempre Vittorioso, che respinse anche il tentativo Taiping di conquistare Shangai nel 1860, vi fu prima Frederick Ward e poi, morto quello, Charles Gordon. Sì, proprio quel Gordon di cui abbiamo già parlato a fine gennaio, che scelse di morire come un eroe piuttosto che fuggire di fronte alle forze islamiste del sanguinario Mahdi, nel 1885, a Khartoum.
20 marzo
1815: dopo l’esilio sull’isola d’Elba, Napoleone torna a Parigi con 140.000 soldati regolari e 200.000 volontari. È l’inizio dei Cento Giorni che lo porteranno alla sconfitta di Waterloo e al successivo esilio all’isola di Sant’Elena, in cui morirà pochi anni dopo.
Non molti sanno che dentro la feluca Napoleone nascondeva una fatina che gli dava consigli in battaglia e si esibiva in spogliarelli nella tenda. E consumava quantità imbarazzanti di champagne, fino a crollare addormentata nella coppa.
Da questo viene la sua celebre frase “Champagne! Nella vittoria lo si merita, nella sconfitta sbollisce la rabbia delle fatine” poi tramutata per nascondere la verità storica sulle fatine in “Lo champagne! Nella vittoria lo si merita, nella sconfitta se ne ha bisogno.”
Prosegui con: marzo, dal venti al trentuno del mese.
Commenti recenti